venerdì 29 marzo 2013

Le Mille e una Notte - OVVERO della Voce che diventa Vita

Non si puó non parlare de Le Mille e una notte in un blog che indaga il rapporto tra vita raccontata e vita vissuta. Il senso stesso della raccolta é dato dal trionfo dell'Immaginazione sulla barbarie del Potere.
La vita raccontata entra nel cuore degli uomini e il cuore degli uomini crea vita reale, questa é l'alchimia della narrativa. Non ferro che diventa Oro, ma Voce che diventa Vita. Purtroppo il concetto é stato deturpato da una pubblicitá di telefonia che recita il telefono allunga la vita, ma pazienza, le pubblicitá passano, e poi ci aiuta a ricordare che le pubblicitá sono le scoreggie dell'arte.
Un Re, scoprendosi cornuto, vuole vendicarsi su tutto il genere femminile, cosa che non gli risulta difficile, essendo un vasto Harem uno dei suoi requisiti sovrani. Questo é il presupposto della storia che incornicia tutte le altre. Ogni sua sposa é condannata a morte dopo la prima notte di nozze. Questo destino plumbeo oscura il regno di Tartaria.
E Sherazade, la figlia del visir boia (proprio la figlia di colui che dá la morte!) si offre spontaneamente al massacro. Sherazade ha un piano. Un piano con cui salverá se stessa e tutte le altre donne, un piano con cui sconfiggerá i mostri di una cultura maschilista e basata sullo strapotere di pochi, un piano semplice ma geniale, perché semplice é il cuore degli uomini. Raccontare, raccontare, raccontare, racconti che contengono racconti che contengono racconti.

Soffermiamoci sull'idea di Harem, baluardo della fusione di Maschilismo e Potere. Io sono il sultano. Come ogni regnante, é una odorosa veritá che torna sempre a galla nella storia sebbene si cerchi sempre di rituffarla nel torbido e ricoprirla di ninfee, sono un soggetto molto a rischio, super esposto alle piú potenti e degeneranti droghe con cui l'uomo si disumanizza: Potere e Ricchezza. Io ho tanti diamanti per quanti fagioli ha un mercante di fagioli e posso permettermi una reggia di 1000 e piú persone un esercito di 10 o 100mila persone. La mia misura umana é continuamente tentata da megalomanie varie. Se mi sento offeso col califfato vicino che mi ha donato una scacchiera in ciliegio e non in alabastro, io posso muovere guerra, aumentare le tasse e depredare cavalli e mandare ogni uomo a morire, per la mia scacchiera in ciliegio. Mica fiabe, Veritá semplici, l'ABC della storia: A)molti uomini sono pazzi B) alcuni uomini sono potenti. C) Spesso il potere rende pazzi o ancora piú pazzi. L'harem é una delle megalomanie possibili e ricorrenti nella societá stratificata e maschilista del medioevo orientale, ma ovviamente molti dei sultani attuali, orientali e occidentali posseggono un harem. Forse ogni uomo dentro sé ne possiede uno. Non parliamo di semplice poligamia ma di poter sfogliare donne. Avere un tale numero di donne che conoscerle, anche solo ricordarne il nome sia quasi impossibile, ridurre il proprio erotismo a zapping. Probabilmente due o tre consiglieri giravano di continuo in lungo e in largo il regno solo per trovarne di piú belle e giovani (questo fino a quando televisione e concorsi di nullitá hanno ovviato al problema, lasciate che le pargole vengno a Me). Alcuni padri si dicono onorati, altri cercano di nasconderle in ceste di grano, gli dipingono baffi con del legno bruciato... 
Anche il presupposto di volerne uccidere una dopo ogni notte di nozze non appare affatto un connotato da favola a ben pensarci, non essendolo né l'uxoricidio, né lo sterminio. Curiose possono essere le implicazioni di questa forma di potere sessuale. Se la persona del sultano o per lo meno le leggi del suo stato non provvedono anticorpi a bilanciare la sua brama é probabile che divenga incontentabile, tutto é perfettibile, facile che non voglia mai piú rivedere la stessa donna, che ne voglia una diversa ogni giorno. Al culmine di questa bulimia potrebbe trovarsi il Transgender, se il sultano é persona curiosa, o piú probabilmente impotenza, e quindi apatia se il sultano é persona floscia. O rabbia se il sovrano é un volitivo. La Rabbia di un sultano di solito significa Guerra. Certo sono molte le variabili ma insomma, come gli individui dovrebbero evitare un uso eccessivo di cocaina e alcol, le societá dovrebbero evitare un uso eccessivo di sultani e sessismo, sono piú le forze che se ne vanno (a puttane) di quelle che ne vengono.
Non credo che la guerra sia una prerogativa maschile, come hanno affermato in tanti da Aristofane in poi, e mi sembra abbastanza imprudente sezionare cosí la complessa realtá umana, ma forse si, l'istinto del potere sta in qualche ormone maschile, che arriva ad annientare pur di possedere, e allora forse in questo senso la letteratura, in quanto amore per gli esseri e le loro storie, é femmina. Senz'altro Le mille e una notte é nel suo involucro il libro piú intelligentemente femminista di sempre, meglio di Aristofane con la sua brillantissima Commedia delle Donne.

Il piú grande sacerdote del culto dei libri, J.L. Borges disse che considerava i libri sacri un ramo interessante della letteratura fantastica. E´una citazione importante perché la fede é uno di quei paramentri fondamentali della storia umana, attraverso cui questo blog cerca di capire meglio il ruolo della letteratura. Ovvero, ci si domanda in questo blog, e se sostituissimo alle varie fedi quella nella letteratura, cosa ne verrebbe?
Le Mille e una notte in un certo senso ha la stessa genesi di molti libri sacri, in un certo senso é un libro piú puro di molti libri sacri. Origine incerta nel tempo e nello spazio, composizione eterogenea, traduzioni su traduzioni a confonderne ulteriormente la provenienza. Come le parabole dei libri sacri, lo fece notare proprio Borges, va "dipanando una serie infinita di atti impersonali compiuti da uno qualunque o da nessuno". Insomma in questo senso un libro puro, che giunge dal nulla, senza un autore, fatto di storie che contengono storie che contengono storie, tanto stratificato e composito che dedurne morali non é facile (vale anche per Bibbia e Corano). Se ogni libro é anche un po' il suo autore, il suo contesto, la sua morale, questo no, questo, per parafrasare l'attributo del dio ebraico, E´solo ció che é. Un pura spirale di racconti.
Sempre Borges ci ricorda del racconto della notte centrale, "dove la regina Shahrazad si mette a raccontare testualmente la storia delle Mille e una notte, a rischio di tornare un'altra volta alla notte in cui racconta, e così all'infinito". "In quella notte il re ode dalla bocca della regina la propria storia. Ode il principio della storia, che comprende tutte le altre, e anche - in modo mostruoso - se stessa"

Il Visir boia racconta la favola del bue e dell'asino alla figlia Sherazade per convincerla a desistere dal suo progetto suicida. La morale sembra essere quella di non cercare di sembrare ció che non sei o le conseguenze saranno fuori controllo. Una bella morale. Ma Sherazade non ascolta e alla fine il suo coraggio e la sua immaginazione le daranno ragione. A mostrare che un racconto é comunque piú importante della stessa morale, altrimenti la filosofia avrebbe un primato sulla narrativa, cosa che ne io né sherazade evidentemente crediamo. Il raccontare ha una potenza maggiore di quella che gli puó infondere qualsiasi moralista. Ogni racconto può avere una sua morale da consegnare al destinatario. Ma tutti i racconti implicano nel loro destinatario un amore per l'ascolto, per le storie altrui, per lasciarsi entrare nel cuore degli sconosciuti cosí diversi  e simili.
Ama il tuo prossimo, insegna Gesú, ma ama, o  comprendi, o  per lo meno ascolta, anche il tuo remoto, questo insegna la letteratura.

mercoledì 20 marzo 2013

Alexis o il trattato della lotta vana- Marguerite Yourcenar OVVERO del libro piú puro

Romanzo del 1929 scritto da una 24enne. Il suo primo lettore disse il libro piú puro che abbia mai letto. Nonostante la sua fama di uomo molto libero, colto e brillante Marcel De Crayencour non era un lettore imparziale, in quanto padre dell'autrice e sdraiato sul letto di morte. Io ho conosciuto questo romanzo circa 60 anni dopo, l'ho reincontrato anni piú tardi all'universitá e l'ho riletto ultimamente nel suo originale francese. Mi considero quindi lettore piú sereno e obiettivo di Marcel di fronte all'opera prima di sua figlia Marguerite, nom de plume Marguerite Yourcenar. Proprio per questo mio privilegio mi sembra di dire qualcosa di significativo, persino forte, ripetendo pari pari quelle sue parole: il libro piú puro che abbia mai letto.
Questo libro, analogamente alla trilogia di Agota Kristoff, ma per ragioni molto diverse, é una suprema lezione di scrittura. Lo é ogni libro di questa prima donna accolta in seno all'Academié Francaise, in quanto ognuno è una lezione di misura, lucidità, ampiezza di pensiero e libertá. Ma in Alexis vediamo la giovanissima autrice iniziare quel percorso, che sarà lungo una vita, di accuratissima indagine della verità, giá in pieno possesso del suo magistrale genio espressivo e con sfumature piú marcate di sofferenza, scoperta e formazione. Se infatti il risultato é giá una scultura levigata e rivelatrice, ancora piú che nelle opere successive qui si intravede tutta la ricerca, le scelte, lo scavo e la pulitura della pietra grezza dell'esistenza. Proprio in quanto opera prima é piú nitida la filigrana del suo sublime lavoro linguistico, dove per linguaggio si intende quasi la materia stessa di cui sono fatte le idee, ma anche i sentimenti. per lo meno la materia con cui noi siamo costretti a vestirle.
L'Incipit del libro vale anche come chiave di lettura di tutta la sua opera.  
Non amo scrivere. Ho letto sovente che le parole tradiscono il pensiero, ma mi sembra che le parole scritte lo tradiscano ancor piú(...) Scrivere é una scelta perpetua tra mille espressioni di cui nessuna mi soddisfa, di cui soprattutto nessuna mi soddisfa senza le altre. Si é sempre cosí poco chiari quando si cerca di essere completi(...)qui faró uno sforzo non solo di sincerità ma di esattezza...
 Poco più che ragazza si dimostra già uno dei pensatori piu lucidi, colti e pure meno intellettualisti di un secolo cosí ricco di pensatori. Parte integrante del suo pensiero resterá il suo modo di esprimerlo. Molti anni dopo avrebbe intitolato Ad Occhi aperti una sua lunga intervista autobiografica, sempre fedele all'idea che vivere sia soprattutto capire.
Se Agota Kristoff offre un esercizio di scrittura lineare, elementare, sotto il cui manto vibrano i sussulti dell'incomprensione, del dolore e della menzogna, la Yourcenar ci dà storie apparentemente scarne, più sobrie, ma accompagna il lettore molto più a fondo negli abissi della comprensione delle cose, procurando ogni volta un esercizio di apnea nel mondo puro dell'espressione.In entrambi i casi le autrici sembrano dire che l'esistenza andrà sempre oltre le capacità esplicative di qualsiasi linguaggio, ma nel caso di Agota la morale sembra essere: Raccontare l'esistenza puó essere l'unico contrappasso opponibile alla disperata crudeltá della vita, mentre Marguerite ci dice: Capire l'esistenza, sforzarci di capirla, non solo la rende degna ma ci aiuta a viverla meglio.
La nitidezza delle cose viste attraverso quei suoi occhi sempre aperti é un incanto dell' intelligenza, un'intelligenza affilatissima, capace di sconcertare, ma che non cede mai a cinismo o effetti speciali. Non potrebbe raggiungere questi apici senza una profonda educazione ellenica (equilibrio e chiarezza) cui é seguita una cultura storico umanistica di cui non si vedono i confini.
Lo stile della sua prosa sará sempre il perfetto incarnato della sua filosofia, e la sua filosofia sará sempre l'incarnato della sua vita. Questo linguaggio aderente come tessuto connettivo, pelle della vita stessa é il motivo per cui Alexis e la sua autrice devono comparire in questo percorso che vuole fare luce sul rapporto tra scrittura e vita.
 La prosa di MY é sempre calibratissima ma può essre micidiale tanto é mirata ed efficace. Però evita quello slancio provocatorio, trés genial mais souvent trop egotique, che marchia a fuoco buona parte dell'intellighenzia francese, quella sentenziosità umorale che porta Sartre a dire "l'inferno sono gli altri". Ed infatti, nonostante la sua affilatissima prosa, credo che in mezzo al tripudio filosofico del secolo scorso essa spicchi forse come l'unico autore a ribadire insistentemente il valore del silenzio e del non detto o del cautamente accennato:
" ...di quella che dovremo pur risolverci a chiamare anima..."
"...a volte il silenzio é le definizione piú onesta che possiamo dare".
"Dopo tanto ferite hanno ricoperto il mondo (finita la seconda guerra mondiale) credo che l'unico atteggiamento possibile, come accanto al capezzale di un degente, sia mantenere tutti un devoto silenzio"
Alla luce di ció credo che possa chiamarsi affinitá la sua ammirazione per Rembrandt il quale, osservava Marguerite, aveva introdotto l'uso della luce nera nell'arte.
Naturalmente anche in questo caso il valore del libro va ben oltre il motivo specifico per cui compare in questo blog. L'argomento principale che tratta, la libertá sensuale di un individuo, veniva in quell'epoca raccolto dopo essere stato tabù per secoli, tanto tabù che persino il liberissimo e provocatorio Oscar Wilde pochi anni prima aveva dovuto affrontarlo pienamente solo in tribunale piuttosto che sulla pagina. Ma anche oggi, molti anni dopo, in qualche posto piú che in altri, la sessualitá resta uno dei pruriti sociali piú irrisolti.
Sorprende sentire la Yourcenar, con la sua ampissima conoscenza e sempre acuta indagine dei meccanismi storici e sociali, concordare con Freud nel dire che probabilmente gran parte dei problemi umani sono problemi riconducibili alla sfera sessuale. Il motivo per cui questo argomento come altri resti tabú lo spiega proprio l'autrice in una prefazione all'edizione del 1960, fornendoci di nuovo una chiave di lettura di tutta la sua preziosissima opera e di rimarcando il motivo per cui consideriamo quest opera una lectio magistralis nel delineare il rapporto tra vita e scrittura. Forse non si è abbastanza rimarcato come il problema della libertà sensuale nella sua accezione piú ampia sia per gran parte un problema di libertà d'espressione.

mercoledì 13 marzo 2013

Germania - Italia ... Ovvero del virtuoso e del virtuale

La prima pagina del principale gionale di Dresda di ieri, 12.03.2013,  titolava:
LA LETTERATURA É SUPERFLUA? MAI
Ho giá ribadito che il rapporto tra letteratura e vita é il leitmotiv di questo Blog. Perciò mi allontano brevemente da cuore pulsante della letteratura, i libri, per osservarne i bordi, la pelle.
Intanto siccome sto per pubblicare in questo blog un breve saggio sull'importanza del leggere narrativa, indicandola come migliore dieta multivitaminica esistente, lo spunto di questo articolo mi sembra perfetto per qualche riflessione introduttiva.
Inoltre credo che questa foto in sé possa spiegare uno dei motivi fondanti per cui vivo in Germania, anche se ció mi costa stare in un paese la cui lingua mi sará per chissà quanti anni ancora fonte di pruriti, imbarazzi e lieve senso di soffocamento.
Mi sono spesso divertito a fare una lettura in filigrana delle prime pagine dei giornali, ovvero a eviscerare, al di là dei loro contenuti dettagliati, ció che ci raccontano del paese in cui vengono stampati.
Le prime pagine dei principali giornali tedeschi sono fonte di facile ironia per un italiano. Ci sono giornali piú sensazionalistici o provocatori di altri, ma in generale danno l'idea di vivere in un villaggio perbenista. Discutono in prima pagina sulle diete degli asili. Constatato dopo qualche indagine che non stanno falsando la realtá perché sensibili alle mire di padroni in perenne conflitto di interesse e cercando di approfondirne le vere ragioni, l'ironia lascia il posto ad un certo sconforto. La Germania e i suoi abitanti non sono assolutamente esenti da difetti, debolezze, scandali, follie, il paese é sopravvalutato in termini di efficienza, correttezza e logica... ma colletivamente mi sembra di poter dire che una crosta dura di Decenza sia il loro punto piú basso. L'ironia, il ridanciano istinto di definirlo paese noioso, da parte di un conterraneo di Berlusconi e Grillo, é come pattinare spensierati su un ghiaccio molto sottile. Proprio come indugiare su quella datata teoria per cui  un mondo privo di difetti sarebbe molto noioso, teoria secondo me molto decadente, autoindulgente, persino pigra e definitivamente Italiana. Non riesco davvero a definire noioso avere il tempo e le risorse per studiare arte, conoscere gente, lavorare in base ai propri meriti, rispetto all' essere soffocati da burocrazia, corruzione, tifoseria e superficialitá. No, non riesco a sentirmi piú che profondamente depresso dalla consolazione "però a calcio vi facciamo il culo"
Cosa ha a che fare con la letteratura? Parecchio credo io. Soprattutto col fatto di difenderla in prima pagina come Il Giornale difenderebbe solo il suo Cavaliere caramellato...
Due riflessioni a riguardo.
Primo: è vero che dal dramma nasce l'arte migliore, ma il dramma sará sempre comunque presente nella vita degli uomini, senza bisogno di andarselo a cercare e sponsorizzarlo. Inoltre probabilmente sono molti piú i Dickens e i Primo Levi morti di freddo e fame rispetto a quelli sopravvissuti agli stenti per raccontarli.
Secondo: Pirandello era un genio, particolarmente sensibile all'analisi delle apparenze che influenzano la vita dell'uomo moderno. Come tutti i geni, abbagliato dai lampi della propria mente, poteva essere profondamente cieco. Per lo meno io ho sempre addebitato a questi sbalzi di luce, a eccessivi restringimenti della pupilla, se non a semplice paviditá, il fatto che un uomo come lui appoggiasse il fascismo, sostenendo che Mussolini dava al popolo le due cose di cui aveva piú bisogno, senso di stabilitá e senso di dinamica. Questo genio della realtá virtuale si perdeva nei propri specchi e parlava di Mussolini come parlasse di Teatro. Ecco il paese di Berlusconi e Grillo (lungi da me paragonare questi due individui opposti, piú che per il fatto che condividono le tecniche dello spettacolo) dove realtà e spettacolo si inzaccherano e si rivoltolano avvinghiate come lottatrici nel fango.
L'Italia per molti motivi, di cui solo l'ultimo é una berlusconizzazione delle coscienze, ma prima viene un unione linguistica non ottenuta tramite Dante e lo Stil novo come ci raccontano a scuola, ma tramite Baudo Carrá, Bongiorno, (e per fortuna anche Battisti Deandré), é vittima, piú che utente consapevole, della realtá virtuale. PEr questo Tv, videogame, social network, reclam, tifo, lotterie, occupano fette crescenti di quell'industria del tempo virtuale di cui la letteratura é (e dovrebbe rimanere) Ape regina. Per motivi che approfondiró nel suddetto saggio, la letteratura é l'unica tra le realtá virtuali che provveda gli anticorpi contro la stessa, che aumenti le difese contro Ogni tipo di realtá virtuale, rafforzando capacitá di analisi, discernimento e critica. L'unica realtá Virtuale che sia profondamente Virtuosa anche per chi la consuma.
Ecco perché la prima pagina del quotidiano di Dresda demarca, molto meglio delle infelici battute sulle fortune elettorali dei Clown Italiani, la differenza tra due modi di essere.

venerdì 8 marzo 2013

Trilogia della città di K.- Agota Kristof OVVERO dell'agghiacciante ticchettio dell'esistenza



Uno tra i libri piú potenti che abbia letto, uno dei piú importanti ai fini di questo blog suicida.
Per ricordarci che leggere puó essere un'esperienza estrema, e oltre a intrattenerci e istruirci ci puó sbattere in un angolo, sbarrare gli occhi con spilli, ficcarci nel cuore l'ineguagliabile agghiacciante ticchettio dell'esistenza umana.  
La Trilogia di Agota Kristof é un libro feroce, ipnotico, furbissimo, uno e trino, un romanzo in tre parti o tre romanzi che ingegnosamente ne fanno uno, che tre volte ci esplode tra le mani, e alla fine di noi rimane un essere tramortito, sporco e che puzza come l'umanitá intera. Ma nello stesso tempo ci rialziamo piú vivi e leggeri... Ed ecco perché parlo di Insostituibile leggerezza del leggere: perché questo, soprattutto, fa il veleno che ingeriamo leggendo, agisce d'antidoto. Ci rende piú forti, ci ferisce senza lasciare né cicatrici né croste di cinismo.
La trilogia rimane nelle viscere a lungo dopo che la si é letta. Difficile non chiedersi, nel tentativo di rinvenire e staccarsene un po', quale sia stata l'esperienza della scrittrice che ha dato vita ad un romanzo tanto perfetto e doloroso. Lei fuggí in Svizzera dall'Ungheria nel 56 mentre i carrarmati russi invadevano fottendosene che per la prima volta nella Storia le televisioni di tutto il mondo registrassero le profonde fratture di dissenso all' interno del mondo sovietico. Eppure qualcosa le fará dire, non avrei dovuto scappare: Due anni di galera in Urss erano probabilmente meglio di cinque anni di fabbrica in Svizzera. La trilogia tratta essenzialmente di questo, del confine tra ció che é e ciò che potrebbe essere.
Agota scrive in francese, lingua acquisita senza mai dominarla. Per questo anche é cosí importante per questo Blog, per la mia subdola propaganda da pusher di emozioni letterarie. Non perché sia un romanzo sorprendente, avvincente ed unico. Non solo. Non solo perché chiarisce quale sia il privilegio massimo del lettore, di passare in mezzo al dolore e uscirne arricchiti. Non solo. Ma soprattutto perché, questo romanzo scritto in una lingua, che fece dichiarare alla scrittrice di essere essenzialmente analfabeta, é una eccellente lezione di scrittura.  
Scrivere é una delle peggiori controindicazioni,...si, ok, eccone un'altra, avevo detto che non ce ne erano e invece siamo giá alla seconda controindicazione per chi contragga il vizio di leggere: il desiderio di scrivere. Non prende tutti, spesso resta dietro le quinte dei desideri sommersi, dei chissá se potrei, ma comunque c'é. Spesso, soprattutto nel nostro paese, la tentazione di scrivere cattura anche molte persone che non hanno mai avuto quella di leggere. In quel caso di solito l'editore esperto, se messo alle strette e atteso sotto casa, ha giá pronta una serie di scappatoie, una delle migliori pare che sia questa: ma lei come scrittore é sprecato, nel nostro paese per gente come lei, col talento incontaminato e nessuna intenzione di comprometterlo in noiosi confronti con la realtà , c'é un posto in politica.
Insomma in quel caso il vizio di scrivere passa in fretta, tanto é solo vana ambizione. Invece nel lettore accanito questa curiositá malsana tende a crescere, il lettore inizia a chiedersi cosa vorrebbe raccontare e come. E siccome ogni libro diventa anche un esempio ricco di sfumature, rimandi e idee, la vita si complica. Leggere aiuta a scrivere, si, ma come scappare di casa aiuta a farsi strada nella vita, non é mai una passeggiata.
Ecco quindi un libro che ogni aspirante scrittore dovrebbe leggere per chiarirsi le idee. Fino alla fine il libro é scarno ed essenziale nelle sue descrizioni, ma la prima parte in particolare, essendo un diario compilato da due bambini, con precisi limiti e regole, dona un metodo ed un esercizio, la cui efficacia e potenzialitá é dimostrata dal libro stesso.
La seconda e la terza parte non sono una semplice prosecuzione cronologica, ma ricreano lo sbigottimento del lettore con punti di vista ancora piú stranianti dei precedenti. Nei fatti ognuno dei tre libri é una trappola, anzi una successione di trappole. Ma le trappole della trama mostrano anche in limpida filigrana le trappole del mestiere di scrivere. E come già in Don Chisciotte, A quattro mani e in Una solitudine troppo rumorosa di nuovo si inscena la pericolosa osmosi tra letteratura e vita reale, uno dei leit motiv di questo blog.
Anche qui si mostra quel rapporto sempre piú sdruccievole tra realtá e realtá virtuale, che é il tema della storia Umana e sta diventando la causa probabile della sua fine. Ma anche la differenza sostanziale tra la natura salvifica della scrittura e quella soffocante di ogni altra realtá virtuale: sebbene in questo libro le si chiami in entrambi i casi Menzogne, la storia traccia un distinguo netto tra le menzogne letterarie e quelle di un giornale, tra quelle che un individuo usa per sopravvivere e quelle che un sistema usa per sottomettere.
Quello che mostra la trilogia della cittá di K é un mondo dove come in Kafka e in Sciascia il sistema senza volto schiaccia le vite umane con l'indifferenza di un piede che calpesti formiche. E anche rapportati tra loro gli individui, le formiche, oppongono un incapacitá di comunicare che rende la vita piú aberrante e malvagia di quanto potrebbe essere. L'amore darebbe un senso a tutto ma spesso l'amore viene schiacciato con il resto. Ma pure si mostra la rivincita, minima, infinitesimale, ma luccicante, liberatoria che ogni formica potrebbe opporre all'universo cieco: Scrivere un libro. Per quelle esistenze che sembrano chiamate solo a testare dolore e sacrificio, scrivere un libro puó essere un risicato riscatto contro la cieca violenza dell'oblio. E soprattutto avere qualcuno a cui scriverlo. Chi scrive i quaderni che compongono quest'opera, lo fa per qualcuno in particolare, ha in mente un suo lettore, sembra confermare una regola che la maggior parte degli scrittori Calvino a Vonnegut, considerano primaria per non disperdere la propria linfa, quella di avere qualcuno a cui scrivere, ma qui acquista una chiave esistenziale prima che letteraria, quella di avere qualcuno da amare.

Citazioni:
Uno di noi fa il cieco, l'altro fa il sordo. Per allenarsi all'inizio ilcieco si lega un fazzoletto nero di nonna davanti agli occhi, il sordo si tappa le orecchie con l'erba. Il fazzoletto puzza come Nonna
Certe vite sono piú tristi del piú triste dei libri.
Ogni uomo é nato per scrivere un libro e nient'altro

mercoledì 6 marzo 2013

A quattro mani - Paco IgnacioTaibo II OVVERO della Muffa e del Mistero


Questo libro 20 anni fa mi risveglió. Il piacere di leggere, persino quello, conosce momenti di sedimentazione, sopravviene un torpore cosí lieve che non lo senti, leggere diventa uno degli elementi della vita e quasi scordi quegli altri momenti in cui é stato il Piacere, in cui é stato il Conoscere, il Viaggio, fluttuando sul mondo e dentro se stessi, la Medicina contro meschinitá, banalitá, impazienza e insomma l'unica Droga che non avesse controindicazioni.
È stato per me il Re dei libri, tanto vale ammetterlo, perchè sarebbe altrimenti molto faticoso recensirlo senza che si indovini, anche solo guardando queste righe, una strana dilatazione delle mie pupille. Poi per fortuna questa monarchia illuminata é tornata ad essere piú varia.
Chi legge molto puó avere qualche problema che trascende l'uso degli occhiali... é giusto ammettere anche le controindicazioni di questa Droga, e in perfetta contraddizione con me stesso ora dichiaro che Ogni vizio invasivo ne ha almeno una: La lettura, intensiva e continuata, tende a sviluppare una patina candida di quella che il lettore adolescente crede già saggezza. Questa "saggezza", soprattutto nella sua fase di formazione, come la muffa, può essere sgradevole. Per sé e per gli altri. Quando é folta é una barba bianca ma all'inizio é verdognola peluria. Puó in definitiva risultare che per bere una birra gli amici chiamino qualcun'altro. Perché tu non ti stupisci mai come vorrebbero, non ti alteri mai come dovresti, non schiumi mai per qualche squadra del cuore. Anche piú tardi, questa aspirazione alla saggezza é come neve o come la lunghissima barba di Merlino, per quanto pura e bella l'istinto é di calpestarla.
Insomma se hai ormai abbandonato i libri di pura avventura, esaurito la sofisticata leggerezza di Agata Christie, e hai la fortuna di non esserti incagliato definitivamente in Hermann Hesse o in Coelho o Kundera, sei riuscito ad abbandonare l'adamantina Yourcenar soltanto rifugiandoti in Borges e da quest'ultimo hai ereditato l'inesauribile ricchezza della letteratura inglese, in cui ti muovi come un Adamo single nel paradiso ritrovato dei Classici, pure c'é qualcosa che inizia a mancarti. Ma non sai dargli un nome. Provi a perderti in Cent'anni di solitudine, che in effetti coi suoi profumati effluvi ti restituisce un po' di calore, ma poi la granparte della letteratura sudamericana ti sembra un continuo omaggio a Marquez. La lussureggiante intelligenza di Nabokov ti ristora ma sei sempre piú scollato dalla vita condivisa. Insomma il tuo slancio si affievolisce in... saggezza. Certo Eva ti dava casini a non finire ma questi casini per quanto strano dovevano essere parte integrante della vita.
Ed ecco arrivare un libro come "A quattro Mani". Mi spettinó dalla prima pagina, dopo poco mi aveva disarcionato. Furono risate, indignazione, commozione. Se leggere sta affievolendo l'intensitá della tua giá non esaltante esistenza, allora stai sbagliando letture. Mi si é risvegliata la passione. 
Ho dichiarato che non amo anticipare niente di ciò che consiglio, e ciò risulta davvero duro con questo libro, perchè il genio dell'invenzione si scatena con troppa dovizia per glissare la tentazione di dimostrarlo. LE avventure dei due giornalisti d'inchiesta, le Tesi di laurea sovversive e quindi rifiutate di Elena Jordan, lo Shit Department, all'interno di questo romanzo c'é il materiale di 5 ottimi romanzi, magistralmente assemblato in uno... Parliamo d'altro.
Paco Ignacio Taibo II . Segundo, Poichè suo padre, aveva lo stesso nome e lo stesso mestiere. Era un ottimo romanziere (pallide bandiere), e probabilmente un padre felice, se essere oscurati dalla fama del figlio non è frustrante come il contrario. PIT II nasce a Gijon in Spagna , il padre decide di trasferirsi in Messico fuggendo il franchismo, quando lui ha quattro anni. Da allora ha esercitato le attività di insegnante di storia contemporanea presso l'università di Città del Messico , sindacalista e attivista politico , storico e romanziere e saggista , con una produzione ormai di una sessantina di libri. Dichiarava che voleva scriverne uno più del padre... Chi lo conosce lo definisce un mistero. Il mistero, al contrario di ciò che accade abitualmente quando si considera misterioso qualcuno, non è nella sua personalità, nel suo pensiero, nella sua vita, tutto molto estroverso limpido, pubblico. Ma anche sí, troppo estroverso, limpido, publico per un tanto acuto e prolifico scrittore , ovvero uno che mentre vive sta giá annotando, scrivendo, cancellando, calibrando aggettivi e sinonimi, tracciando collegamenti, archiviando. Uno che mentre vive, per deformazione professionale, già rivive, normalmente necessita di tempo, silenzio e osservazione, perchè la realtà è l'unica vera fucina della fantasia (chi disse ..."Ma Balzac dove ha incontrato tutte quelle persone?"?).  
L'ho incontrato in almeno 4 conferenze: L'ultima volta a Milano, facoltá di scienze politiche parló agli studenti dell'Onda studentesca, della sala che Leonardo DaVinci dipinse nel castello Sforzesco a un paio di km da lí (ovviamente nessuno ne sapeva niente): per una volta che il committente gli aveva dato carta bianca sul soggetto, Leonardo, anziché riprodurre madonne o battaglie, sceglie di dipingere ...un Bosco! cosa ci stava dicendo Leonardo? Paco Ignacio sembra conoscere la risposta che  né le guide del castello nè i critici  hanno mai saputo dare: "Leonardo ci dice che il cielo é la terra, che il paradiso é questo, proprio come voi studenti state dicendo a Politici che non hanno mai comprato il pane che la politica é in queste aule, é la scuola, siete voi, non il loro intoccabile sistema autoreferenziale".
Ecco Paco, un fiume di cultura, provocazioni e battute. Eppure nel frattempo quel piccoletto diabolico baffone sta anche osservando. Mentre abbindola il pubblico con le sue innumerevoli storie, con le sue sconcertanti risposte, con la sua fluviale fantasia, con la sua cultura spiazzante, pure osserva , il piccoletto. Mentre scrive quattro o cinque libri contemporaneamente, viaggia , fà conferenze, organizza festival del Noir in spagna, fuma sette od otto sigarette messicane (all'ora), e beve un paio di lattine di CocaCola (all'ora), che egli non considera degli stendardi yankee, o "sangue di vietnamita", come vuole la cultura hippie degli anni 70, bensì le bombe a mano che lui e gli altri dimostranti gettavano alla polizia durante lo sciopero della fabbrica di CocaCola anni addietro. Questo dunque il mistero, un uomo che afferma che dallo scrivere si riposa scrivendo. E il motivo per cui entra di diritto in questa carrellata di romanzi é proprio il f atto che é un'autore imporante per chi voglia scrivere. In molti dei suoi romanzi, forse soprattutto nella "bicicletta di Leonardo" e in "La Vida Misma", ma anche in questo, Paco é molto generoso col lettore ma anche con chi voglia scoprire come funziona il misterioso cilindro dello scrittore.
Ecco il mistero e tutto questo lo troviamo nel piú mirabolante di suoi romanzi A Quattro Mani, ottimamente tradotto da Pino Cacucci. Il titolo é puramente pretestuoso, perché avrebbe dovuto scriverlo con un amico ma non se ne fece nulla. Eppure fosse un pianista Paco sembrerebbe suonare con 4 o forse 6 mani. Siamo alle prese con un libro tremendo, di un'intelligenza sovversiva che stringe il cuore, ma divertentissimo, straniante ma iperreale, con una frammentarietà di giochi e tributi e ritmi che fanno in letteratura un po' ciò che i ManoNegra hanno fatto in musica e Tarantino nel cinema. Non sono tutti al livello di questo, forse "La Bicicletta di Leonardo" e "Ritornano le ombre", forse nessuno. LEtti dopo questo alcuni sono semplicemente dei deludenti ottimi romanzi, alcuni sono mattoni di serissima storia ad esempio la più nota biografia di Che Guevara " Senza perdere la tenerezza" . I piú famosi sono gli ottimi noir della serie di Hector Belascoran Shayne, il detective del DF(districto federal come chiamano laggiú Ciudad del Mexico) che ha reso questo scrittore una celebrità tenendo per le ghiandole publico e critica, dandogli fama di "creatore del nuovo noir latinoamericano", portavoce di una letteratura che si contrappone al realismo magico di Marquez, in cui la magia sembra sempre pervadere la realtá. Paco, sottile indagatore del rapporto tra realtá e finzione, tra vita e scrittura ( si veda il suo romanzo "Come La vita "-"La vida misma") mostra un mondo in cui la realtà assomiglia sempre più ad un romanzo senza bisogno di ripassarne con l'evidenziatore i colori, senza trucchi, egli snocciola storie crude, storie urbane della piú folle cittá del pianeta, con la fila di limousine di autisti armati fino ai denti fuori dalle discoteche, storie in cui l'unica magia é la battaglia, l'ironia, la tenacia dei cuori o dove per dirla con Dalla: "ecco il mistero, sotto un cielo di ferro e di gesso, l'uomo riesce ad amare lo stesso, e ama davvero".

martedì 5 marzo 2013

Una solitudine troppo rumorosa - Bohumil Hrabal OVVERO della spremuta di sangue e inchiostro

Forse il libro piú geniale, grondante e poetico di uno scrittore che grondava genio e poesia in ogni sua opera. Un uomo che come Bukowsky fece mille mestieri e bevve migliaia di litri di birra. Come per CharlesBukosky la sua opera compone una specie di All lifelong gallery. Ma a differenza di Bukowsky, Hrabal si lasció travolgere dal vortice della vita, senza sviluppare quell'occhio micidiale e cinico, quel lucido vetro antiproiettile che Chinasky sviluppò per difesa, ma imparando a vorticare nel mutevole struggente caleidoscopio dell'esistenza registrandone l'esperienza con un'efficacia unica, il cui rimando piú immediato a mio avviso sono i film di Kusturica.

Questo libro, come Don Chisciotte parla di un uomo che si è fatto di libri, nel senso più tossico del termine.
Il suo farsi di libri non è peró l'hobby di un hidalgo, ma è il lavoro di un operaio al macero della carta. Comunque sono entrambe, all'epoca delle rispettive ambientazioni, due classi in estinzione. L'operaio in questione poi è in un pericolo immediato e reale, manovratore di una pressa sorpassata, una volta al giorno dal cielo stretto di scantinato gli piovono addosso libri, a centinaia, e stampe e cartoni e gli insulti e le minaccie del suo capo.
Scelgo questo libro proprio perché porta un passo più avanti la riflessione sul rapporto tra narrativa e vita reale giá affrontato con Don Chisciotte. Hrabal sembra indicare, come la seconda parte del DonChisciotte, che anche se molte cose nella vita non possiamo sceglierle, l'immaginazione ci permette di scegliere come guardare alla vita.
Questo libro accorda una sintesi sublime tra contenuti, scrittura, movente e messaggio, esso è cioè un intreccio di autobiografia, realismo brulicante e marcescente (se qualcuno crede di aver mai letto il Pulp assaggi questo...), sogno, visione, e metafora , metafora di una vita e della Vita. Un altro libro preziosissimo, che mostra i fuochi d'artificio delle piccole cose, ma adatto a lettori che non hanno paura di perdersi nelle sabbie mobili della realtá. Esso é infatti scritto con uno stile intriso della stessa sostanza dei sogni, che porta lo stream of consciousness ad un nuovo livello di prensilitá, un allucinazione che talvolta è più reale e circostanziata della realtà, ovvero muovendosi nei sogni non descritti quando si è ormai svegli ma in presa diretta, alla Borroughs ma privo dell'irritante snobismo onirico di borroughs, non ermetico anzi compagnone... uno stato ebbro, dovuto ad una sensibilità acutissima, violentata dalla ricchezza insostenibile dei libri e che usa come liquido di raffredamento e integratore di ottani, scusate la metafora motoristica, la birra, fiumi di birra. Il tutto in una Praga che brucia di magia e amarcord...
Nella Praga che fu di Kafka, che Kafka ha sovraccaricato dell'atmosfera irrisolvibile degli incubi ripetuti, perché rappresentano un quotidiano incombente labirinto, Hrabal, non meno travolto dalla vita, resuscita sogno e immaginazione, allarga in maniera esponenziale la gamma delle emozioni, accoglie i lampi di ironia e ridicolo e di struggente passione, ogni ingrediente che rende la vita un' assurdo teatro, come Kafka pativa, ma pure degna di essere vissuta, urlata, mangiata, bevuta.

sabato 2 marzo 2013

Don Chisciotte - Miguel De Cervantes OVVERO della Realtá Virtuale



Un opera senza fine, considerato il primo romanzo moderno, ma che a tutt'oggi resta un romanzo tra i più moderni.
Un linguaggio ricco ma leggero che si smarca dalla produzione edulcorata ed ampollosa dei suoi tempi. Idee potentissime che si stagliano nel cieo come razzi di segnalazione. Soprattutto, e per questo lo scegliamo tra i primi di questo viaggio letterario, il primo che tratta diffusamente l'abuso della realtá Virtuale, che é ció che distingue l'uomo dal resto del pianeta ed é pure ció che sta con strisciante inconsapevolezza fottendoci alla grande.
Ho già spiegato perché racconto il meno possibile dell'opera ma devo pur spiegare perché essa é tanto importante. Don Chisciotte perde il senno per i troppi romanzi d'amore e d'avventura infarciti dell'ars romantico-cavalleresca che imperversava nella spagna dell'epoca, addirittura si creó il fenomeno dei "lettori impazziti"... Sul giornale di ieri dei bambini sono impazziti per troppi videogiochi identificandosi con personaggi fatti di pixel... Alienazione...
É (giustamente) vietato telefonare per avvertire casa di buttare la pasta se si sta guidando. È altrettanto sconsigliabile per quanto non vietato andare fuori da un liceo in primavera e con cappotto e lingua di fuori guardare le ragazzine seminude, nessuno tocchi i nostri figli! È frequente poi digrignare i denti al lavavetri insistente al semaforo, nessuno tocchi la nostra auto! Ma poi placidi come plancton cinque donne nude grandi come un condominio ci ipnotizzano, vorremmo essere kingkong per testare quel condominio in tutti i suoi orifizi. Si, perché un tale D&G e altri come lui possono cercare di convincenrci della necessitá di comprare un jeans o almeno iscriverci ad un orgia di adolescenti proprio mentre ci districhiamo con l'auto nel bel mezzo del piú trafficato punto della cittá. NESSUNO TOCCHI LA RECLAM! Pubblicità enormi come balene ci masticano lungo le vie delle nostre cittá e se non ci risputano all'ospedale, o a vomitare insulti compilando una constatazione amichevole, ci ritroviamo rintontiti sulle nostre tavole a considerare meschine le rughe di nostra moglie, e quindi innervositi cerchiamo di comunicare con quell'ectoplasma di nostro figlio, ma c'é qualcosa di misteriosamente potente ficcato dentro il suo telefonino che pare aver catturato per sempre il suo senno e non avere alcuna intenzione di restituirlo. Credendoci furiosi proviamo a levargli il telefonino ma é solo allora che conosceremo davvero il significato di "furia", nostro figlio sputa fuoco e ha il colore di un fegato cirrotico, persino nostra moglie ci insulta,...Come ci siamo arrivati?
Il tema dell'apparenza, delle percezioni, non è ovviamente nuovo, Platone col mito della grotta ne dà una metafora esemplare e compiuta, e secondo me il cavallo di Troia é un moderno esempio di pubblicitá. Ma é l'uso che ne fa il potere, qualunque potere, che diventa antropologicamente piú significativo.
Le invenzioni geniali di Cervantes, questo scrittore dalla vita turbolenta, nascono in un epoca cruciale, il XVII secolo, un epoca che aveva molta dimestichezza con gli specchi, gli effetti e i giochi dell'apparenza. Il cattolicesimo controriformista e barocco é agguerittissimo in tal senso, facendo un uso ridondante del culto dell'immagine. Spesso c'è il genio a conferire a questo culto dei riflessi ulteriori: nell'incredibile quadro "las Meninas" Velasquez dipinge accanto alle figlie del Re uno specchio in cui si riflettono le altezze Reali sul lato opposto della stanza, ma dove dovrebbe a rigor di logica riflettersi il pittore stesso. Esso crea chissá quanto consapevolmente la tremenda metafora del Potere che parla con la voce del genio. Bernini allestisce un opera in cui simula il diluvio, allagando quasi il teatro e fermando l'acqua appena in tempo, proprio davanti al pubblico con un pannello di vetro. Caravaggio dipinge gli oggetti riprendendoli in uno specchio per anticiparne il reale senso di straniamento. l'Amleto di Shakespeare inscena uno spettacolo di fronte al re, assassino del padre, dove questi vede la replica del suo stesso crimine, un opera dentro l'opera dentro l'opera.
Fuori dal genio il barocco si limita a ridondanza, cacofonica tautologia del potere, con le sue minuziose escrescenze descrittive che non lasciano niente all'immaginazione, all'intuito, alla voce interiore, proprio come fanno la piú moderna realtá virtuale, la piú chiassosa arte hollywoodiana o la pornografia. In tanta produzione di immagini il cattolicesimo barocco sta bene attento a non lasciarsi scappare fotogrammi di veritá, opponendo la santa inquisizione al cannocchiale di Galileo. non erano tempi facili ma naturalmente il peggio doveva ancora mostrarsi: i totalitarismi hanno fatto dell'uso della realtá virtuale quasi una scienza esatta, comunque invasata, chiamata propaganda. Quelli mascherati da democrazia ne hanno fatto un gas piacevole e mefitico, chiamato con leggerezza (insostenibile) RECLAM... Un noto Richelieu de no'artri li chiama sobriamente consigli per gli acquisti... bleah, torniamo al genio.
Quello che Cervantes denuncia é un sistema di valori e convenzioni finito o mai davvero esistito, declamato, inseguito ma irreale e in definitiva inutile, un sistema di corti e cortesie, tornei, amori e grandi gesta in un mondo dove imperversava crudeltá, abuso ed ignoranza, dove il peggior drago era la meschinitá della vita stessa. Miguel conosceva molto bene le crudeltá del suo tempo, conobbe la guerra partecipando niente meno che alla battaglia di Lepanto, conobbe la galera, come quasi ogni genio conobbe l'incomprensione e la solitudine, non ebbe mai il meritato successo, morí in povertá e insomma come ogni grande umorista conobbe il fiele amaro dell'esistenza. Le sue invenzioni sono superbe, eterne, massimamente quella, all'inizio del secondo romanzo, dove troviamo i due eroi a leggere le loro stesse avventure e convincersi a continuare, per fedeltà al sogno, a vivere avventure...cosí l'ambivalenza giá presente nella prima parte in cui due opposti, Don Chisciotte e Sancho Panza, restano inestricabilmente uniti nella stessa avventura, continua e si replica. E come in specchi opposti si duplica anche il senso di straniamento creato nella prima parte dalla follia dell'eroe, mostrando come questa follia sia in filigrana pervasa di consapevolezza, come un dormiveglia, una follia per scelta, come quella di Amleto. LA follia di preferire una realtá incantata a quella misera dei poveri di spirito. Se da una parte denunciava la cattiva letteratura infarcita di valori di corte, difendeva infine il sublime diritto all'incanto della buona letteratura, quell'incanto senza il quale avrebbe detto Stevenson, non c'é piú nulla che valga la pena.
Si chiama classica un opera la cui voce non sdilinque nel tempo, anche se il suo messaggio acquista nuovi risvolti col mutare delle epoche. Il messaggio prezioso di Cervantes si é arricchito nei secoli di una nuova lezione,  mostrandoci una differenza fondamentale tra la scrittura, madre di ogni realtá virtuale ed ognuna delle sue seguenti proliferazioni, ne parliamo diffusamente ne "l'insostituibile leggerezza del leggere", laddove la scrittura sviluppa l'immaginazione mentre le altre forme tendono a dissanguarla. Infarciscono di immagini la mente, si, ma uccidono la capacitá di creare ed elaborare nuove immagini, quindi la capacitá di modellare il futuro, lasciandoci passivamente a subirlo, subdolamente simile al passato. Infatti i bambini sono sempre piú affeti da ebetismo (o dovremmo dire buffering?) o da violenza e depressioni, allergie, ancor peggio gli adulti hanno perso la capicitá di interagire con le loro energie naturali e prescrivono psicofarmaci come prima elargivano sculaccioni... mentre il nostro macilento eroe sul suo scarno destriero brucia di un fuoco interiore, un coraggio insonne che lo staglia nitido e invincibile contro il passare dei secoli.
La lettura é omeopatia contro un esistenza che va rarefacendosi, é l'antidoto contro un esistenza sempre piú ologrammatica, insegna a discernere la realtá dallo specchio