lunedì 23 settembre 2013

Lee Stringer - "Inverno alla Grand Central " o della droga di scrivere


 Lee Stringer a 34 anni dopo un'incerta carriera come grafico pubblicitario si é messo a farsi di crack. É andato avanti oltre dieci anni, per la maggior parte vissuti per strada a NewYork, inverno, primavera, estate, autunno e ancora inverno. L'inverno é una stagione che si fa notare a New York. Solo un senzatetto sa davvero se le mezze stagioni siano davvero sparite,ma gli importa poco perché le giornate hanno molta piú importanza. Se t'impigli in un' esistenza senza futuro, nel loop della dipendenza e della sopravvivenza stentata, ogni giornata é una vita. Per campare Lee sfrutta quella benedetta iniziativa ecologica che impone di vendere le bibite a 5 cent piú care e a ripagarne per la stessa cifra i vuoti. Poi alcue leggi draconiane della giustizia benpensante NewYorkese rendono difficile la riscossione dei vuoti. Ma un'altra iniziativa benedetta dá a lui e a molti come lui un altro po' di ossigeno e anche qualcosa di piú: Street News, il primo giornale pensato per essere distribuito da homeless, permette a questi di tirar su fino a 100 dollaroni, ...Oggi non é piú una novitá, ma negli ani 80, gli anni dell'affarismo come religione, un' idea che faceva fare soldoni ai suoi fondatori e permetteva ai disperati di vivere senza furti rappresentó la massima sintesi del genio, provvidenza e affari fusi in uno.
Lee era un buon venditore, perché era un volpone del marketing, ma per via del fatto che aveva tra i pochi oggetti in suo possesso una matita (per scrostare la pipetta del crack) scopre quasi involontariamente di essere anche uno che sa mettere in fila delle parole scritte, e farle ballare. Scopre che per lui questa danza delle parole e delle storie puó competere con l'altro sballo, quello micidiale e paradisiaco del crack. Non é solo una sua impressione, dovuta magari a stati allucinatori. Anche i redattori del giornale iniziano a prenderlo in considerazione non solo come venditore, gli pubblicano dei pezzi e poi lo nominano editor. Non smette di fumare crack, ma ha assunto uno status che ridá senso alla sua vita, e questo linfa con gli anni prende il posto dell'altra. Poi capita che Kurt Vonnegut noti i suoi scritti e pensi che lui é la dimostrazione lampante di come il talento della scrittura sia una cosa tanto preziosa quanto innata. Cosí incoraggiato Lee stringer ha scritto questo libro che gli dá e i mezzi per tornare a vivere. Quando dico i mezzi non vi ingannate, non parlo solo di soldi, ma soprattutto i mezzi spirituali. Il deficit di chi vive per la strada e/o si intossica di qualche veleno é quasi sempre prima spirituale e poi materiale.
Allo stesso modo il valore di questo libro non sta principalmente nella sua concretezza, sebbene lui scriva senza fronzoli e senza idealizzazioni della vita da paria, dando una testimonianza preziosissima di cosa sia vivere in strada e farsi le vacanze in gattabuia. No, il valore dell'opera é innanzitutto letterario, Stringer scrive da maestro, perché ha un cervello di prim'ordine. Se immaginate resoconti drammatici e strappalacrime siete fuori strada, é lucido, ma come i grandi scrittori, quelli che io definisco tali, non si lascia mai intrappolare dal patetismo. Non lo fa Primo Levi parlando dei campi di concentramento, non lo fa Vonnegut parlando del bombardamento di Dresda. Come in quei casi anche la prosa di Stringer resta brillante, priva di risentimenti, non si impantana nel dolore, perché  la scrittura perderebbe un po' di senso, come che la vita l'avesse vinta su di noi ancora prima del tempo, invece la penna, per quanto male possano essere andate le cose é una vela soppravvissuta alla tempesta. Ma nell'ultima parte del libro Stringer, che non ha mai frequentato Harvard o Princeton, sciorina le piú semplici e profonde lezioni di antropologia urbana, da far sfigurare non solo la folta classe dei politicanti, che non é poi questa impresa, ma quella dei vari giornalisti, esperti ed opinionisti emeriti. Pensiero di prim'ordine espresso con prosa di prim'ordine sulla tossicodipendenza, sulle politiche di sostegno e recupero, sul razzismo, sul rapporto tra politica e individuo, sulla differenza tra religione e spirito. E sul linguaggio, che come sempre nasconde il nocciolo della questione.
"noi tendiamo a rivolgerci alla legislazione per imporre ció che desideriamo avvenga in quanto popolazione ma che siamo incapaci di attuare in quanto individui. Ed é un modo maldestro e, in definitiva, inefficace di essere umani gli uni con gli altri."(trad. Delfina Vezzoli)
L'importanza di questo scrittore, della sua vicenda e del suo libro, per questo blog in particolare, sta nel fornire una statuaria dimostrazione di come la letteratura, la scrittura in genere, siano il piú potente e benefico tra i metadoni, di come l'amore per il linguaggio, per le storie, per la condivisione accurata delle cose della vita, aiuti a capire piú a fondo e nel capire aiuti prima a sopportare e poi anche a godere piú profondamente dell' esistenza, la quale puó altrimenti avere un senso compiuto e amichevole solo per coloro che non se lo chiedono mai davvero.

giovedì 2 maggio 2013

Sherwood Anderson - Winesburg, Ohio



Mr Anderson era quasi ricco, quasi felice, imprenditore avviato, cittadino ben introdotto, i figli crescevano. Allora lui scappò.
Si chiamava Sherwood, come la foresta inglese che, pupilla impenetrabile,  osservava le diseguaglianze del regno di Riccardo Cuor di leone e compiva gesti eroici, ribaltando carrozze e senso comune per ricolmare le distanze. Sherwood Anderson fu uno degli scrittori piú influenti per la moderna letteratura americana, per pesi massimi quali Faulkner, Steinbeck, Hemingway. Oggi è un esimio sconosciuto.
Nacque senza radici forti né privilegi, crebbe mentre tutto attorno andava a pezzi, il padre operaio produceva briglie e finimenti per carrozze, in un'epoca in cui si iniziava a puntare tutto sulle macchine, doveva spostare la famiglia di qua e di la in cercca di lavoro. Sherwood è di quegli scrittori che ha praticato mille mestieri sin dall'adolescenza lasciando persino la scuola prima del diploma per essere d'aiuto alla famiglia. È proprio la famiglia a procurargli la sua prima riserva di esperienze indelebili, con trasferimenti continui, rovesci finanziari, alcolismo del padre, morte per tubercolosi della madre. Si trasferisce a Chicago e dopo pochi anni, per sfuggire definitivamente alla morsa del karma familiare, eccolo a Cuba, arruolato nella guerra Ispano-americana... Arruolarsi in guerra per sfuggire la famiglia, già questo cameo dovrebbe far riflettere quanti si arroventano la lingua parlando della sacralità della famiglia.
Tornato dalla guerra inizia a frequentare un entourage di artisti a Cleveland che paradossalmente gli facilita l'ingresso nel mondo degli affari attraverso il piú noto dei vasi comunicanti tra soldi e arte. Infatti viene assunto e molto apprezzato nel ruolo di  Copywriter. Altro spunto interessante riguarda il numero di scrittori finiti nella trappola di questo mestiere, il pubblicitario, che se da un lato segna il rapporto piú felice tra affari e arte, giovando agli affari, dall'altro segna quello piú grigio tra arte e affari, portando aspiranti artisti nell' l'infame opportunitá di produrre arte ripudiando uno dei presupposti dell'arte: la genuinità, l'urgenza gratuita, sostituendo la vendita di concimi chimici o lassativi all'elan vital.
Comunque nel 1912, a 36 anni, é nel pieno della sua seconda vita. Ha definitivamente lasciato alle spalle una precaria esistenza di sacrifici, è proprietario e fondatore dell' azienda di successo Anderson Company, la moglie proviene da una facoltosa famiglia di Chicago, ha tre figli, insomma è molto ben avviato sulla strada dell'impersonificazione del sogno americano, o per lo meno ben amalgamato al fascino discreto della borghesia.
Ma a quel punto accadde qualcosa di strano, forse sbagliato, come una carrozza che in piena corsa si rovescia. Sherwood Scompare. Riapparve dopo 4 giorni con tutti i sintomi di chi ha avuto un crollo nervoso. Siamo giá nell'epoca in cui queste cose si diagnosticano. Di solito é l'agiografia a riservarci questi episodi di rinascita, redenzione: San Paolo sulla via di Damasco, Sant'Agostino, SanFrancesco, tutti e tre ex soldati. Altrimenti queste storie sono nascoste nelle cartelle mediche dei manicomi. Sherwood dirá di aver sperimentato una rottura cosciente della sua esistenza materialistica, questo episodio successivamente ne certificherà lo spirito eroico romantico presso vari scrittori contemporanei.
Il crollo nervoso di un uomo di successo significativamente sará un elemento ricorrente nei migliori momenti della letteratura Americana, vedasi buona parte dei romanzi di Vonnegut, innanzitutto Mattatoio nr 5, La colazione dei campioni e Mr Rosewater, o quelli di Richard Yates, primo tra tutti Disturbing the peace.
Pur dopo essere caduto sulla via di Damasco siamo al princpio dei tempi moderni, quelli di Chaplin, non ci fu agiografia e per fortuna non ci fu il manicomio. Sherwood non abbandona tutto in nome dell'arte, si limita ad abbandonare Cleveland, la moglie, i figli e l'azienda, ma riprende il lavoro di Copywriter a Chicago. Comunque intensifica la sua attività di scrittore iniziata un paio d'anni prima. E dopo pochi anni nel 1919 pubblica Winesburg Ohio, il suo principale successo. Seguiranno diverse altre opere, quasi sempre di racconti brevi, ma anche romanzi, saggi e poesie, molti mai tradotti in Italia.
Dopo un secolo dall'inizio della sua avventura letteraria la sua prosa speciale non ha perso mordente e la sua speciale magia. Benché sia, come il titolo Winesburg Ohio lascia immaginare, sempre ancorato a dettagliati sfondi americani, la sua indagine nell'animo umano conserva il suo valore universale, ancora ci sconcertano quelle sue strane radiografie del reale. Vinicio Capossela, ispirato da Anderson al punto di aver scritto un capolavoro come “La Faccia della Terra” in ricordo della sua opera maggiore, ha rintracciato nel villaggio Winesburg di Anderson ogni comunità fatta di personaggi strambi, solitudini contigue, ricordi intimi, quella zolla di terra che si porta sotto le scarpe chi fugge e quella crosta di perbenismo che ricopre fobie e rimorsi di chi resta.
Il protagonista comune a questi racconti, é un aspirante scrittore, il cui occhio e la cui fame di storie non lo preservano dal finire dentro molte di queste storie e dal patire gli sbandamenti dell'esistenza. Ecco una delle magiche spirali di Sherwood Anderson: come in Don Chisciotte si parla dell'opera all'interno della stessa opera. Soprattutto nel racconto The Thinker il narratore descrive il personaggio di se stesso, in preda alla propria vanitá di aspirante scrittore, sempre in cerca di avventure da trasformare in parole stampate, che arriva persino a manipolare e suscitare i fatti per poi poterli descrivere, come uno dei tanti personaggi che cercano grottescamente di afferrare un sogno. Ma il messaggio per noi lettori va oltre le parole del narratore che si pone al ridicolo livello di tutti gli altri. Perché se é come gli altri nel momento in cui un giorno arriva a capirlo e a descriversi. Una certa crudele sinceritá demarca la linea tra i molti scrittori di professione e quelli che sono scrittori di vita, che hanno il coraggio di mettersi in gioco e non astrarsi dietro ad un ruolo. Questi sono quelli che trovano spazio in questo blog, i funamboli senza rete che ci insegnano a tenere gli occhi aperti sul doppio abisso, quello della realtá vissuta, toccata e quello della realtá virtuale, percepita, indagata, mentita, raccontata.
Forse proprio la soffusa originalitá della sua scrittura ha finito per essere causa del suo incostante e breve successo. In un certo senso resta uno scrittore piú apprezzato dagli scrittori che dai lettori. Non c'é nulla di facile nel suo gioco. Sebbene le sue storie possano commuovere e intrigare, abbiano momenti di crudeltà e colpi di scena, esse non presentano una trama ben marcata, soprattutto per i canoni della letteratura americana, affidando spesso i cambi di scena agli oscuri colpi di sole dell'animo umano. I critici hanno spesso sottolineato in lui la novità dell'elemento Freudiano, ma questo elemento resta un affluente successivo in una personalità che visse in prima persona, molto prima che sui libri, l'inquietudine di un esistenza sballottata tra sogni e bisogni, e il marasma delle anime perdute che fuggono la follia e la solitudine tramite la condivisione di paure o pregiudizi. Sebbene la sua scrittura possa risultare piacevole e spesso poetica, senza essere mai ermetica, pure essa può apparire un po' oscura e sdrucciolevole,... non complicata, egli caldeggiava la semplicità dello stile, ma concettualmente contorta, affaticata dal continuo procedere nella mota torbida dell'animo umano,... insomma può sembrare inesperta, all'occhio inesperto. Richiede attenzione la sua ben congegnata prosa. In questo senso forse egli è stato anche un precursore della sofisticatissima ingenuità di Kurt Vonnegut, infatti ha con lui molti tratti in comune, primo dei quali l'impressione per il lettore di un perspicace incespicare: il linguaggio di Anderson appare quasi insicuro, praticamente colloquiale, con continue correzioni e tentativi di riuscire ad esprimere esattamente un concetto.
Spesso può sembrare che lo smarrimento sia definitivo, che non vi sia concetto da afferrare, verità da esprimere, che nel pacco regalo che contiene un altro pacco regalo che ne contiene un altro alla fine non ci sia che dubbio. Invece alla fine ne sortisce una farfalla di una bellezza speciale dal colore cangiante, somma dei riflessi dei vari ornamenti.
Nel racconto introduttivo, cornice dei racconti dell'Ohio si puó ricavare l'incantevole cifra filosofica e stilistica di Anderson
At his desk the writer worked for an hour. In the end he wrote a book which he called “The Book of the Grotesque.” It was never published, but I saw it once and it made an indelible impression on my mind. The book had one central thought that is very strange and has always remained with me. By remembering it I have been able to understand many people and things that I was never able to understand before. The thought was involved but a simple statement of it would be something like this: That in the beginning when the world was young there were a great many thoughts but no such thing as a truth. Man made the truths himself and each truth was a composite of a great many vague thoughts. All about in the world were the truths and they were all beautiful.
The old man had listed hundreds of the truths in his book. I will not try to tell you of all of them. There was the truth of virginity and the truth of passion, the truth of wealth and of poverty, of thrift and of profligacy, of carelessness and abandon. Hundreds and hundreds were the truths and they were all beautiful.
And then the people came along. Each as he appeared snatched up one of the truths and some who were quite strong snatched up a dozen of them.
It was the truths that made the people grotesques. The old man had quite an elaborate theory concerning the matter. It was his notion that the moment one of the people took one of the truths to himself, called it his truth, and tried to live his life by it, he became a grotesque and the truth he embraced became a falsehood.
You can see for yourself how the old man, who had spent all of his life writing and was filled with words, would write hundreds of pages concerning this matter. The subject would become so big in his mind that he himself would be in danger of becoming a grotesque

Ecco la farfalla, ma tempo che essa colpisca la nostra retina e subito la lascerà andare, lasciandoci questa impressione rovesciata di bellezza profonda che come una pennellata ogni tanto riemerga da questa scrittura mobile, senza che essa diventi sentenza, filosofia, ideologia.
Se la narrativa americana deriva da quella inglese il suo affidarsi più alla storia, alla trama, che alle riflessioni filosofiche dello scrivente, cercando di essere più informativa che formativa, e facendo largo uso dell'understatement, del non detto, dell'intelligenza del lettore, pure quando in essa vi si introduce della filosofia o della morale, come in Melville prima di lui e in Steinbeck dopo, questa sembra destituire sé stessa da ogni cattedra, da ogni pulpito, restando comunque ogni idea un fiore della storia e non viceversa come in tante scritture europee, Manzoni, D'annunzio, Pirandello, Hesse, Mann, Nietsche, Proust, Sartre. La scrittura di Sherwood Anderson è uno degli esempi lampanti di questa attitudine di saggezza soft, come lo sarà mezzo secolo dopo la sorprendente scrittura di Vonnegut, la sua scrittura profondamente morale che peró culmina nel suo Bokonon, il fondatore di una religione il cui primo assunto è che sono tutte panzane.

In vari punti ne i racconti dell'Ohio il narratore ammette la propria inadeguatezza di fronte agli abissi dell'anima e dice che ci vorrebbe un poeta, un poeta lui si saprebbe spiegare quelle sottili sfumature del labirinto che ogni uomo si porta dentro. Ecco questo scrittore, in cui la critica mainstream ritrova Freud, non si appella né al filosofo né allo psicologo per spiegare ciò che è più difficile spiegare, ma al poeta. Ci sta dicendo con la sua prosa, che non é una questione di intelligenza, di grandi idee, quanto una questione di linguaggio, come avrebbe fatto pochissimi anni dopo, lo racconta un altro articolo di questo blog funambolo, Marguerite Yourcenar in Alexis,.
Insomma dalla scrittura di Anderson emerge potente uno dei concetti chiave di questo blog e che mi fa preferire la narrativa a qualsiasi altra forma di educazione, di intrattenimento, di droga o fede che dir si voglia per imparare il mestiere di vivere. Anderson cerca si di perforare l'animo umano, ma non cede mai alla sentenza, al giudizio irreversibile, quanto invece si sforza di affidarsi, rabdomante, alla sincerità del racconto, anche quando essa sembra portarci nella nebbia, ci avvicinerà alla comprensione più intimamente di quanto possa un assolutista Nietsche, senza folgorarci ma accompagnandoci, insomma sembra emergere quella lezione tanto connaturata alla letteratura inglese e americana, che però vogliamo riassumere con le parole di Borges l'argentino, grande estimatore della letteratura angloamericana: Nulla si insegna, tutto si racconta.

lunedì 15 aprile 2013

Flannery O'Connor: Il cielo é dei violenti - o dell'eresia del Talento

Flannery, bimba di 5 anni, conobbe l'onore delle cronache grazie al suo pollo addestrato. Questi oltre a seguirla dappertutto sapeva camminare in avanti e all'indietro. Era il 1930 e il filmato della bimba e del pollo fece il giro dell'America grazie alle Pathé News. (Nonostante l'argomento il nome non ha niente a che vedere col paté ma deriva dal suo fondatore Charles Pathè inventore del cinegiornale, sebbene questi avesse adottato come simbolo societario proprio il Gallo che rappresenta la Francia,... cerchi nell'acqua). Anni dopo quella bambina rivelerà, "sebbene fossi lì solo per assistere il mio pollo quello fu il punto culminante della mia vita, il resto é stato tutto un anticlimax." Curioso punto di vista, si vedrà. Da allora comunque ella allevò ogni razza di uccelli riuscisse a procurarsi, oche, quaglie, fagiani, galli cedroni, anatre e tacchini. Creava persino abiti per polli. Finì per appassionarsi ai pavoni, che descrisse in un saggio intitolato the King of Birds. Precedentemente aveva messo come copertina del suo libro Believe it or not la foto di un pollo che sopravvisse 30 giorni senza testa. Questo non é un blog di ornitologia eppure quel suo straniante punto di vista è poprio il motivo per cui trattiamo la storia di questa donna.
Flannery O'Connor nacque a Savannah, in Georgia, U.S.A, in quell'area fortemente religiosa chiamata Bible Belt, in quella vasta ruralità che é sempre stata fertile terreno per predicatori, sette, bigottismo, Ku Klux Klan.
Flannery pure era fortemente cattolica, per tutta la vita promosse il cattolicesimo e armata di penna e lingua si dimostrò un'agguerita e sottile combattente a difesa del mistero della fede.  
Flannery seppe fondere Ortodossia e Provocazione, più di chiunque altro, forse più dello stesso Chesterton che a difesa della fede cattolica inventó il personaggio di Padre Brown e scrisse il geniale saggio Ortodoxy e riempì di brillanti provocazioni tutta la sua vasta opera letteraria.
Borges definisce Chesterton un eretico, per l'intelligenza eccessiva con cui difende la concezione cattolica, analogamente anche Flannery possiamo definirla eretica: ad una cena newyorchese di intellettuali che le chiedevano di esprimersi sull'eucarestia, ovvero la distribuzione dell'ostia, lei bestemmió. Non so se disse DioPiccione o che cosa, ma nulla le era sembrato più appropriato di fronte a chi difendeva il più profondo dei misteri della fede attraverso la sua ripetizione simbolica e cerimoniale. La bestemmia le sembrava un peccato microscopico, forse uno stridere necessario, rispetto all'ottusa speculazione e alla miope concezione di un premio: come Chesterton, Flannery non sopportava la razionalizzazione del mistero. Simile a Chesterton ma ancor più al maestro di stile e di suspance, oltre che agente segreto, Graham Greene, che lei infatti ammirava, Flannery lottava per dimostrare proprio attraverso la brutalità del reale come l'uomo non possa davvero vivere senza la fede, come di fede sia intrisa l'esistenza tutta, come essa non sia certo una scelta. Amava dimostrare nei suoi racconti che persino l'agnostico più ostico sta scontando un percorso inevitabile verso dio, in questo senso va compreso il titolo del suo libro: Everithing that rises must converge, ció che sorge deve convergere, come dire, la vita, per quanto si spanda torna sempre a dio.
L'ateo o l'agnostico possono trovare molto seducente questa piena e disarmante difesa della fede in sè, che piuttosto spaventa molti credenti, cosí spesso affetti da demenza catechistica.
Ma questo non é un Blog religioso, anzi, essendo un invito alle buone letture, si pone come avversario naturale di due elementi fondamentali dell'esistenza umana: la realtà virtuale elettronica e gli automatismi della fede religiosa. Entrambe invenzioni per pigri. I libri sacri vorrebbero essere il compendio di tutto ciò che é importante sapere, implicando l'inutilitá sostanziale di leggere altro. Nella maggior parte dei casi non é neppure necessario leggerli, perché ci vengono recitati in pubbliche letture, rese coinvolgenti da tecniche di indottrinamento ed intrattenimento, con momenti di karaoke e di mortificazione.
Non é nella sua veste di colomba cristiana che vogliamo catturare Flannery O'Connor. Questa donna preveniente dall'America del KKK, che allevò uccelli tutta la sua breve vita e che riconobbe l'apparizione nel cinegiornale Pathé accanto ad un pollo all'età di 5 anni come il clou della sua esistenza, é a tutt'oggi uno dei maggiori scrittori americani. Kurt Vonnegut, un genio letterario di cui ci dovremo occupare, ateo e umanista, a margine delle sue lezioni di scrittura creativa definì la cattolicissima Flannery O'Connor come il migliore scrittore di racconti che lui conoscesse. Curiosamente essa ammirava massimamente il cattolico Graham Greene, il quale a sua volta indicó l'ateo umanista Vonnegut, ancora semisconosciuto all'uscita del suo secondo romanzo, come il migliore scrittore vivente. Altri cerchi nell'acqua.
Flannery scrisse solo due romanzi non particolarmente corposi, ma intensi come lo erano i suoi racconti. Proprio per la loro carica fideistica del tutto originale non ebbero vita facile tra gli editori. Sebbene non sia stata quello che si può chiamare uno scrittore incompreso, gli editori le chiedevano modifiche che lei non accettava mai. Non era orgoglio ed anzi ogni sua opera passava al vaglio delle sue amicizie, ma non accettava consigli commerciali o comunque non concernenti l'efficacia del romanzo. Cercava di avvicinarsi a sè stessa, non certo al pubblico, o come dicono gli editori, "ad un certo pubblico", allo stesso modo in cui difendeva la fede, non certo i sacerdoti o i fedeli. Insomma restava fedele all'ottimo assunto di Wilde: Un’opera d’arte deriva la sua bellezza dal fatto che l’autore è ciò che è, e non ha niente di comune con il fatto che altri vogliano ciò di cui han bisogno.
L'atteggiamento che aveva nei confronti della fede era lo stesso con cui affrontava la letteratura, per questo la comprendiamo volentieri in questo blog, ovvero tra gli scrittori che hanno usato la letteratura come strumento di vita e viceversa.
Flannery sembra dirci che non possiamo creare un buon romanzo né onorare degnamente Dio nascondendo la veritá brutale dell'esistenza. La letteratura e la fede (quella vera, che normalmente sta lontana dai luoghi di culto)non sono fughe, realtá alternative, sogni, terre promesse. La Fede come la letteratura sono elevazioni, ci mettono a 5 metri da terra a osservare la vita, tutto, il leone che sbrana l'agnello o l'assassino che si crede un profeta. Lo sforzo della veritá, o citando Marguerite Yourcenar: lo sforzo di tenere gli occhi aperti, questo fa della Fede e della Letteratura, una forma di vita piú intensa e vera della vita stessa.
Il cielo é dei violenti ci mostra forse meglio di ogni altra sua opera la distanza tra l'annaspante logica umana e il disegno prestabilito. Un ragazzino che diventa oggetto di opposti fanatismi il quale a sua volta svlupperá un fanatismo tutto suo. Un romanzo intriso di esseri che fanno la volontá del loro personale Dio, di esso confidenti e da esso continuamente derisi e abbandonati. Proprio come nei racconti di Sherwood Anderson Dio sferza la miope stupiditá umana che vorrebbe dirigerne o interpretarne la volontá, anche un po' come la scrittrice sferzava quella degli editori che cercavano di dirigerne tono o trama per renderla più digeribile. Come suggerisce la critica Marisa Caramella, il mistero della Fede sovrasta il comprendonio breve degli individui come il mistero del Talento di Flannery sovrastava le brevi mire degli editori alle prese con un prodotto cosí inedito.
"Credo che uno scrittore serio descriva l'azione solo per svelare un mistero. Naturalmente puó darsi che lo riveli a se stesso oltre che al suo pubblico. E può anche darsi che non riesca nemmeno a rivelarlo a sé stesso, ma credo che non possa fare a meno di sentirne la presenza." Flannery O'Connor


lunedì 8 aprile 2013

Erri De Luca. O la Credibilitá del Magico.



Erri De Luca é probabilmente il piú intenso e accuminato scrittore Italiano vivente, di sicuro il piú importante (e infatti il primo) in questo blog funambulo, perché anche De Luca, (pur se diverse miglia più in alto del blog e con la grazia ipnotica di uno scoiattolo), corre in tutta la sua opera sulla corda che vibra tra letteratura e vita reale. E la fa suonare di quella nota magica che chiamo Grande Letteratura.
Vorrei dire che é uno che non sbaglia un colpo, neppure una frase, se il leggerlo non aumentasse la mia idiosincrasia per certi slogan. 
Enrico detto Erri ha iniziato tardi. Paolo Conte, uno che per certe sfumature gli assomiglia, si é detto contento di aver raggiunto il successo non giovanissimo, lasciando intendere che spesso bruciare le tappe brucia anche le scarpe. Erri, come molti che iniziano tardi, non ha ancora smesso di affilare la sua lama: la sua opera é ancora un crescendo, pur partendo da una scrittura decisamente matura. Non é la paglia di ormoni e orgoglio a bruciare nelle sua fúcina, ma braci a lungo covate, di sforzi, dolori, assenze, compressioni, sconfitte, tutte le sottrazioni e le calibrature della vita. Non ha supplito con menzogne, effetti speciali o altri accumuli, respinge ogni superfluo, ha vissuto il mestiere di vivere, lasciando che il tempo levigasse ció che doveva. Quel che rimane é una perla di levigatissima iridescente prosa.
Si dice spesso di non cercare di conoscere gli artisti che ami o potresti rimanerne deluso. A me suona un po'come: non cercare di conoscere tua moglie o ne rimarrai deluso. Gli artisti che amo mi accompagnano per una vita. Non sono d'accordo, mai, sul fatto che tra imparare e ignorare sia preferibile quest'ultimo, per quanto imparare possa disilludere. Si impara magari ad essere piú esigenti, o piú tolleranti, in amore. Forse si impara anche a giudicare la credibilitá di una frase oltre alla sua bellezza. E si impara che la credibilitá é una forma di bellezza non secondaria, piú rara di quella estetica, una bellezza guerriera. Con scrittori come Twain, Yourcenar o Wilde, senz'altro con Erri De Luca, si impara che la bellezza della credibilitá informa di sé quella estetica dandole un vigore altrimenti impossibile.
Con De Luca si impara anche di più: ha fatto mille mestieri, continuando anche parecchi anni dopo aver iniziato a pubblicare, ha conosciuto la scabra superficie della vita lavorando da operaio e guardando in faccia l'iniquitá come attivista e redattore di Lotta Operaia. Per questo non se la sente di parlare della fatica di scrivere, per lui scrivere non é un lavoro, piuttosto un compenso dalle ore di fatica, non proprio un relax, ma uno sfogo, una valvola che fischia la compressione di stanchezza, alienazione e solitudine, un fischio modulato con la sapienza di chi conosce l'amore del mestiere ben fatto, con la grazia di chi é grato di ogni pasto e di ogni privilegio, di ogni albero che gli dà riparo, di chi crede, religiosamente e fortissimamente crede, che non importa in chi si creda, chi si ringrazi, non conta Chi si preghi, ma conta la forza della preghiera e infatti egli stilla frasi brevi di forza sorprendente, "lunghe quanto il respiro che ci vuole per dirle". Quello che impariamo dalla lettura di ErriDeluca, é l'anima di questo blog: la letteratura, quella migliore, non é ripetizione della vita né tantomeno fuga dalla vita. È distillato purissimo di Vita. E della vita riscatta la deformitá oscena, mostrandocene la magia. Non finisce quí, il cerchio magico si chiude: attraverso la letteratura, il lettore riesce a rintracciare questa magia sempre meglio, aumenta le diottrie necessarie a cogliere il magico.
La domanda spontanea é quale differenza ci sia dalle altre arti. Il concetto sembra piú o meno valido anche per fotografia, danza, pittura, cinema, in qualche modo musica. Ma queste arti possono sempre affidarsi ad un numero limitato di suggestioni. Certo che i Covoni di Monet ci aiutano a godere di piú della luce meravigliosa di questo pianeta, ma appunto isolano una suggestione anziché sinestetizzarne 100, mille o piú. Inoltre ogni arte apparecchia giá il piatto quasi finito, mentre il piatto della letteratura, piú di qualsiasi altra arte, si completa nel palato del lettore. Il lettore é il performer piú sofisticato, rispetto a qualsiasi altro genere di utente, sia esso di un film, di un quadro, di una canzone. Questa sofisticazione gli dá strumenti fondamentali per vivere. 
In gran parte della sua opera ErriDeluca parla del lettore che lui é dalla prima infanzia. 
Il primo romanzo di questo nemico del superfluo, non a caso si intitola con due negazioni, "Non ora, Non qui", storia di un infanzia a Napoli, per il tono cupo e serrato, ma rivelatorio, é davvero simile all'Alexis della Yourcenar giá incontrato in questo blog, simile in tono e impostazione, anch'esso confessione di una lotta vana, quella dell'esprimersi, dell'essere piú forti di sè stesso. Per entrambi gli scrittori il linguaggio é una scultura curatissima. Per entrambi é pelle della vita, anzi corteccia, entrambi prediligono protagonisti che parlano in prima persona. Ma in Erri DeLuca, sin dall'esordio compaiono rispetto alla Yourcenar tracce di magia e ironia, quella forza napoletana cosí sottile ma acuta, che riesce a ribaltare in un istante tutta la secolare tragicitá che avvolge la cittá, che per quanto urli e si strazi non assorda mai il cuore ma ricorda sempre come una canzone. E infatti la sua opera prosegue piú sulla corda di quella magia che sulla calibratissima esattezza della scrittrice belga.
In Tre Cavalli il protagonista é un giardiniere e lettore, praticamente la quintessenza dell' umile meditativa tranquillitá, eppure é anche un uomo che ha un passato di passioni, violenza, perdite, fuga e fantasmi. Ora inaspettatamente si trova ficcato in un presente di nuovo rischioso, la vita di nuovo lo reclama, se lo viene a cercare, non ha finito di svolgere le vertiginose conseguenze del suo karma di guerriero.
In questo testo il linguaggio, appunto quello del protagonista, è un linguaggio antico, strano o forse inedito, personalissimo e quindi nuovissimo. Essenziale e duro come ferro battuto eppure espressivo e modellato con sapienza. Non vediamo descritto il volto della voce narrante eppure in quel linguaggio noi possiamo contare le rughe e ricevere la luce gentile dei suoi occhi.
Il Peso della Farfalla è un brevissimo intenso capolavoro, storia di un bracconiere ed un camoscio, ironicamente entrambi chiamati re dei camosci. In questo testo la pressione che rende fragili e fallibili, sovraccaricandoli di umanitá, tutti gli "eroi" di De Luca, si acuisce dal confronto schiacciante con la natura, con la bestia che ha dalla sua la grazia.
Ne I Pesci non chiudono gli occhi torna all'infanzia, l'estate dei dieci anni, quell'etá accuminata in cui un bambino, anche uno che ha giá imparato gli adulti dai libri, impara a conoscere la fonte di tante storture dell'etá adulta attraverso i suoi coetanei. E impara anche quelle cose che i libri possono raccontare all'infinito senza che si possa mai conoscerle finché non bruciano la pelle, come il primo amore. Il titolo ci dà conto di un atteggiamento che é quello del bambino ma anche dello scrittore, di chi non chiude mai gli occhi, neanche per baciare. Per suggestione possiamo rintracciarvi l'ennesima affinitá con la Yourcenar, il cui motto, nonché titolo di una prezioso libro intervista, é Ad Occhi Aperti. 
Il torto del soldato, un po' come nelle piú sfolgoranti opere di Vonnegut, inizia con una lunga introduzione dello scrittore che poi diventa parte integrante del libro, dando ancora di piú quella sensazione di confine caduto tra lo scritto e il vissuto.
Ci vien da dire di ogni protagonista di DeLuca che sia quasi un eroe, in senso umano e non solo letterario, levigato dall' esistenza e che quindi acquista quella grazia che, nonostante l'arte, la natura dispensa molto piú ad alberi o camosci che agli uomini. Vien da dire: ecco uno di quegli uomini di una volta, eppure é probabile che anche una volta si chiamassero cosí, come se quella volta non sia ficcata tra le pieghe del tempo ma nascosta tra quelle senza tempo dell'umanitá, come la perla nell'ostrica.
Erri mi ricorda, non solo per assonanza col suo nome, una poesiola che fa cosí.
riusciranno i nostri errori
a sortire un buon ascolto
o saranno ancora eroi
e i loro sarti e i loro sponsor
i conti all'estero e le plastiche
e il folto riflessante nulla,
di sorrisi senza volto
tonnare attonite di fiche
luccicanti sul velluto
e cinodromi di ormoni
ed altri orrori il nostro culto?

Sembra che anche gli eroi, quelli che dovremmo riconoscere come tali, non quelli da tabloid, come le perle siano errori, infiltrazioni, corpi estranei avvolti di purezza chiusi nella realtá scagliosa, deforme e pulp dell'ostrica. E cosí é la letteratura, quella di DeLuca e poi tutta quanta quella buona, come la perla, appartiene intimamente all'ostrica, ma ne é l'anima imprevista che avanza, un' impurita che per difesa acquista forma pura, compatta, cangiante, che magicamente contiene e riflette l'impuritá di tutta la vita che la imprigiona.

venerdì 29 marzo 2013

Le Mille e una Notte - OVVERO della Voce che diventa Vita

Non si puó non parlare de Le Mille e una notte in un blog che indaga il rapporto tra vita raccontata e vita vissuta. Il senso stesso della raccolta é dato dal trionfo dell'Immaginazione sulla barbarie del Potere.
La vita raccontata entra nel cuore degli uomini e il cuore degli uomini crea vita reale, questa é l'alchimia della narrativa. Non ferro che diventa Oro, ma Voce che diventa Vita. Purtroppo il concetto é stato deturpato da una pubblicitá di telefonia che recita il telefono allunga la vita, ma pazienza, le pubblicitá passano, e poi ci aiuta a ricordare che le pubblicitá sono le scoreggie dell'arte.
Un Re, scoprendosi cornuto, vuole vendicarsi su tutto il genere femminile, cosa che non gli risulta difficile, essendo un vasto Harem uno dei suoi requisiti sovrani. Questo é il presupposto della storia che incornicia tutte le altre. Ogni sua sposa é condannata a morte dopo la prima notte di nozze. Questo destino plumbeo oscura il regno di Tartaria.
E Sherazade, la figlia del visir boia (proprio la figlia di colui che dá la morte!) si offre spontaneamente al massacro. Sherazade ha un piano. Un piano con cui salverá se stessa e tutte le altre donne, un piano con cui sconfiggerá i mostri di una cultura maschilista e basata sullo strapotere di pochi, un piano semplice ma geniale, perché semplice é il cuore degli uomini. Raccontare, raccontare, raccontare, racconti che contengono racconti che contengono racconti.

Soffermiamoci sull'idea di Harem, baluardo della fusione di Maschilismo e Potere. Io sono il sultano. Come ogni regnante, é una odorosa veritá che torna sempre a galla nella storia sebbene si cerchi sempre di rituffarla nel torbido e ricoprirla di ninfee, sono un soggetto molto a rischio, super esposto alle piú potenti e degeneranti droghe con cui l'uomo si disumanizza: Potere e Ricchezza. Io ho tanti diamanti per quanti fagioli ha un mercante di fagioli e posso permettermi una reggia di 1000 e piú persone un esercito di 10 o 100mila persone. La mia misura umana é continuamente tentata da megalomanie varie. Se mi sento offeso col califfato vicino che mi ha donato una scacchiera in ciliegio e non in alabastro, io posso muovere guerra, aumentare le tasse e depredare cavalli e mandare ogni uomo a morire, per la mia scacchiera in ciliegio. Mica fiabe, Veritá semplici, l'ABC della storia: A)molti uomini sono pazzi B) alcuni uomini sono potenti. C) Spesso il potere rende pazzi o ancora piú pazzi. L'harem é una delle megalomanie possibili e ricorrenti nella societá stratificata e maschilista del medioevo orientale, ma ovviamente molti dei sultani attuali, orientali e occidentali posseggono un harem. Forse ogni uomo dentro sé ne possiede uno. Non parliamo di semplice poligamia ma di poter sfogliare donne. Avere un tale numero di donne che conoscerle, anche solo ricordarne il nome sia quasi impossibile, ridurre il proprio erotismo a zapping. Probabilmente due o tre consiglieri giravano di continuo in lungo e in largo il regno solo per trovarne di piú belle e giovani (questo fino a quando televisione e concorsi di nullitá hanno ovviato al problema, lasciate che le pargole vengno a Me). Alcuni padri si dicono onorati, altri cercano di nasconderle in ceste di grano, gli dipingono baffi con del legno bruciato... 
Anche il presupposto di volerne uccidere una dopo ogni notte di nozze non appare affatto un connotato da favola a ben pensarci, non essendolo né l'uxoricidio, né lo sterminio. Curiose possono essere le implicazioni di questa forma di potere sessuale. Se la persona del sultano o per lo meno le leggi del suo stato non provvedono anticorpi a bilanciare la sua brama é probabile che divenga incontentabile, tutto é perfettibile, facile che non voglia mai piú rivedere la stessa donna, che ne voglia una diversa ogni giorno. Al culmine di questa bulimia potrebbe trovarsi il Transgender, se il sultano é persona curiosa, o piú probabilmente impotenza, e quindi apatia se il sultano é persona floscia. O rabbia se il sovrano é un volitivo. La Rabbia di un sultano di solito significa Guerra. Certo sono molte le variabili ma insomma, come gli individui dovrebbero evitare un uso eccessivo di cocaina e alcol, le societá dovrebbero evitare un uso eccessivo di sultani e sessismo, sono piú le forze che se ne vanno (a puttane) di quelle che ne vengono.
Non credo che la guerra sia una prerogativa maschile, come hanno affermato in tanti da Aristofane in poi, e mi sembra abbastanza imprudente sezionare cosí la complessa realtá umana, ma forse si, l'istinto del potere sta in qualche ormone maschile, che arriva ad annientare pur di possedere, e allora forse in questo senso la letteratura, in quanto amore per gli esseri e le loro storie, é femmina. Senz'altro Le mille e una notte é nel suo involucro il libro piú intelligentemente femminista di sempre, meglio di Aristofane con la sua brillantissima Commedia delle Donne.

Il piú grande sacerdote del culto dei libri, J.L. Borges disse che considerava i libri sacri un ramo interessante della letteratura fantastica. E´una citazione importante perché la fede é uno di quei paramentri fondamentali della storia umana, attraverso cui questo blog cerca di capire meglio il ruolo della letteratura. Ovvero, ci si domanda in questo blog, e se sostituissimo alle varie fedi quella nella letteratura, cosa ne verrebbe?
Le Mille e una notte in un certo senso ha la stessa genesi di molti libri sacri, in un certo senso é un libro piú puro di molti libri sacri. Origine incerta nel tempo e nello spazio, composizione eterogenea, traduzioni su traduzioni a confonderne ulteriormente la provenienza. Come le parabole dei libri sacri, lo fece notare proprio Borges, va "dipanando una serie infinita di atti impersonali compiuti da uno qualunque o da nessuno". Insomma in questo senso un libro puro, che giunge dal nulla, senza un autore, fatto di storie che contengono storie che contengono storie, tanto stratificato e composito che dedurne morali non é facile (vale anche per Bibbia e Corano). Se ogni libro é anche un po' il suo autore, il suo contesto, la sua morale, questo no, questo, per parafrasare l'attributo del dio ebraico, E´solo ció che é. Un pura spirale di racconti.
Sempre Borges ci ricorda del racconto della notte centrale, "dove la regina Shahrazad si mette a raccontare testualmente la storia delle Mille e una notte, a rischio di tornare un'altra volta alla notte in cui racconta, e così all'infinito". "In quella notte il re ode dalla bocca della regina la propria storia. Ode il principio della storia, che comprende tutte le altre, e anche - in modo mostruoso - se stessa"

Il Visir boia racconta la favola del bue e dell'asino alla figlia Sherazade per convincerla a desistere dal suo progetto suicida. La morale sembra essere quella di non cercare di sembrare ció che non sei o le conseguenze saranno fuori controllo. Una bella morale. Ma Sherazade non ascolta e alla fine il suo coraggio e la sua immaginazione le daranno ragione. A mostrare che un racconto é comunque piú importante della stessa morale, altrimenti la filosofia avrebbe un primato sulla narrativa, cosa che ne io né sherazade evidentemente crediamo. Il raccontare ha una potenza maggiore di quella che gli puó infondere qualsiasi moralista. Ogni racconto può avere una sua morale da consegnare al destinatario. Ma tutti i racconti implicano nel loro destinatario un amore per l'ascolto, per le storie altrui, per lasciarsi entrare nel cuore degli sconosciuti cosí diversi  e simili.
Ama il tuo prossimo, insegna Gesú, ma ama, o  comprendi, o  per lo meno ascolta, anche il tuo remoto, questo insegna la letteratura.

mercoledì 20 marzo 2013

Alexis o il trattato della lotta vana- Marguerite Yourcenar OVVERO del libro piú puro

Romanzo del 1929 scritto da una 24enne. Il suo primo lettore disse il libro piú puro che abbia mai letto. Nonostante la sua fama di uomo molto libero, colto e brillante Marcel De Crayencour non era un lettore imparziale, in quanto padre dell'autrice e sdraiato sul letto di morte. Io ho conosciuto questo romanzo circa 60 anni dopo, l'ho reincontrato anni piú tardi all'universitá e l'ho riletto ultimamente nel suo originale francese. Mi considero quindi lettore piú sereno e obiettivo di Marcel di fronte all'opera prima di sua figlia Marguerite, nom de plume Marguerite Yourcenar. Proprio per questo mio privilegio mi sembra di dire qualcosa di significativo, persino forte, ripetendo pari pari quelle sue parole: il libro piú puro che abbia mai letto.
Questo libro, analogamente alla trilogia di Agota Kristoff, ma per ragioni molto diverse, é una suprema lezione di scrittura. Lo é ogni libro di questa prima donna accolta in seno all'Academié Francaise, in quanto ognuno è una lezione di misura, lucidità, ampiezza di pensiero e libertá. Ma in Alexis vediamo la giovanissima autrice iniziare quel percorso, che sarà lungo una vita, di accuratissima indagine della verità, giá in pieno possesso del suo magistrale genio espressivo e con sfumature piú marcate di sofferenza, scoperta e formazione. Se infatti il risultato é giá una scultura levigata e rivelatrice, ancora piú che nelle opere successive qui si intravede tutta la ricerca, le scelte, lo scavo e la pulitura della pietra grezza dell'esistenza. Proprio in quanto opera prima é piú nitida la filigrana del suo sublime lavoro linguistico, dove per linguaggio si intende quasi la materia stessa di cui sono fatte le idee, ma anche i sentimenti. per lo meno la materia con cui noi siamo costretti a vestirle.
L'Incipit del libro vale anche come chiave di lettura di tutta la sua opera.  
Non amo scrivere. Ho letto sovente che le parole tradiscono il pensiero, ma mi sembra che le parole scritte lo tradiscano ancor piú(...) Scrivere é una scelta perpetua tra mille espressioni di cui nessuna mi soddisfa, di cui soprattutto nessuna mi soddisfa senza le altre. Si é sempre cosí poco chiari quando si cerca di essere completi(...)qui faró uno sforzo non solo di sincerità ma di esattezza...
 Poco più che ragazza si dimostra già uno dei pensatori piu lucidi, colti e pure meno intellettualisti di un secolo cosí ricco di pensatori. Parte integrante del suo pensiero resterá il suo modo di esprimerlo. Molti anni dopo avrebbe intitolato Ad Occhi aperti una sua lunga intervista autobiografica, sempre fedele all'idea che vivere sia soprattutto capire.
Se Agota Kristoff offre un esercizio di scrittura lineare, elementare, sotto il cui manto vibrano i sussulti dell'incomprensione, del dolore e della menzogna, la Yourcenar ci dà storie apparentemente scarne, più sobrie, ma accompagna il lettore molto più a fondo negli abissi della comprensione delle cose, procurando ogni volta un esercizio di apnea nel mondo puro dell'espressione.In entrambi i casi le autrici sembrano dire che l'esistenza andrà sempre oltre le capacità esplicative di qualsiasi linguaggio, ma nel caso di Agota la morale sembra essere: Raccontare l'esistenza puó essere l'unico contrappasso opponibile alla disperata crudeltá della vita, mentre Marguerite ci dice: Capire l'esistenza, sforzarci di capirla, non solo la rende degna ma ci aiuta a viverla meglio.
La nitidezza delle cose viste attraverso quei suoi occhi sempre aperti é un incanto dell' intelligenza, un'intelligenza affilatissima, capace di sconcertare, ma che non cede mai a cinismo o effetti speciali. Non potrebbe raggiungere questi apici senza una profonda educazione ellenica (equilibrio e chiarezza) cui é seguita una cultura storico umanistica di cui non si vedono i confini.
Lo stile della sua prosa sará sempre il perfetto incarnato della sua filosofia, e la sua filosofia sará sempre l'incarnato della sua vita. Questo linguaggio aderente come tessuto connettivo, pelle della vita stessa é il motivo per cui Alexis e la sua autrice devono comparire in questo percorso che vuole fare luce sul rapporto tra scrittura e vita.
 La prosa di MY é sempre calibratissima ma può essre micidiale tanto é mirata ed efficace. Però evita quello slancio provocatorio, trés genial mais souvent trop egotique, che marchia a fuoco buona parte dell'intellighenzia francese, quella sentenziosità umorale che porta Sartre a dire "l'inferno sono gli altri". Ed infatti, nonostante la sua affilatissima prosa, credo che in mezzo al tripudio filosofico del secolo scorso essa spicchi forse come l'unico autore a ribadire insistentemente il valore del silenzio e del non detto o del cautamente accennato:
" ...di quella che dovremo pur risolverci a chiamare anima..."
"...a volte il silenzio é le definizione piú onesta che possiamo dare".
"Dopo tanto ferite hanno ricoperto il mondo (finita la seconda guerra mondiale) credo che l'unico atteggiamento possibile, come accanto al capezzale di un degente, sia mantenere tutti un devoto silenzio"
Alla luce di ció credo che possa chiamarsi affinitá la sua ammirazione per Rembrandt il quale, osservava Marguerite, aveva introdotto l'uso della luce nera nell'arte.
Naturalmente anche in questo caso il valore del libro va ben oltre il motivo specifico per cui compare in questo blog. L'argomento principale che tratta, la libertá sensuale di un individuo, veniva in quell'epoca raccolto dopo essere stato tabù per secoli, tanto tabù che persino il liberissimo e provocatorio Oscar Wilde pochi anni prima aveva dovuto affrontarlo pienamente solo in tribunale piuttosto che sulla pagina. Ma anche oggi, molti anni dopo, in qualche posto piú che in altri, la sessualitá resta uno dei pruriti sociali piú irrisolti.
Sorprende sentire la Yourcenar, con la sua ampissima conoscenza e sempre acuta indagine dei meccanismi storici e sociali, concordare con Freud nel dire che probabilmente gran parte dei problemi umani sono problemi riconducibili alla sfera sessuale. Il motivo per cui questo argomento come altri resti tabú lo spiega proprio l'autrice in una prefazione all'edizione del 1960, fornendoci di nuovo una chiave di lettura di tutta la sua preziosissima opera e di rimarcando il motivo per cui consideriamo quest opera una lectio magistralis nel delineare il rapporto tra vita e scrittura. Forse non si è abbastanza rimarcato come il problema della libertà sensuale nella sua accezione piú ampia sia per gran parte un problema di libertà d'espressione.

mercoledì 13 marzo 2013

Germania - Italia ... Ovvero del virtuoso e del virtuale

La prima pagina del principale gionale di Dresda di ieri, 12.03.2013,  titolava:
LA LETTERATURA É SUPERFLUA? MAI
Ho giá ribadito che il rapporto tra letteratura e vita é il leitmotiv di questo Blog. Perciò mi allontano brevemente da cuore pulsante della letteratura, i libri, per osservarne i bordi, la pelle.
Intanto siccome sto per pubblicare in questo blog un breve saggio sull'importanza del leggere narrativa, indicandola come migliore dieta multivitaminica esistente, lo spunto di questo articolo mi sembra perfetto per qualche riflessione introduttiva.
Inoltre credo che questa foto in sé possa spiegare uno dei motivi fondanti per cui vivo in Germania, anche se ció mi costa stare in un paese la cui lingua mi sará per chissà quanti anni ancora fonte di pruriti, imbarazzi e lieve senso di soffocamento.
Mi sono spesso divertito a fare una lettura in filigrana delle prime pagine dei giornali, ovvero a eviscerare, al di là dei loro contenuti dettagliati, ció che ci raccontano del paese in cui vengono stampati.
Le prime pagine dei principali giornali tedeschi sono fonte di facile ironia per un italiano. Ci sono giornali piú sensazionalistici o provocatori di altri, ma in generale danno l'idea di vivere in un villaggio perbenista. Discutono in prima pagina sulle diete degli asili. Constatato dopo qualche indagine che non stanno falsando la realtá perché sensibili alle mire di padroni in perenne conflitto di interesse e cercando di approfondirne le vere ragioni, l'ironia lascia il posto ad un certo sconforto. La Germania e i suoi abitanti non sono assolutamente esenti da difetti, debolezze, scandali, follie, il paese é sopravvalutato in termini di efficienza, correttezza e logica... ma colletivamente mi sembra di poter dire che una crosta dura di Decenza sia il loro punto piú basso. L'ironia, il ridanciano istinto di definirlo paese noioso, da parte di un conterraneo di Berlusconi e Grillo, é come pattinare spensierati su un ghiaccio molto sottile. Proprio come indugiare su quella datata teoria per cui  un mondo privo di difetti sarebbe molto noioso, teoria secondo me molto decadente, autoindulgente, persino pigra e definitivamente Italiana. Non riesco davvero a definire noioso avere il tempo e le risorse per studiare arte, conoscere gente, lavorare in base ai propri meriti, rispetto all' essere soffocati da burocrazia, corruzione, tifoseria e superficialitá. No, non riesco a sentirmi piú che profondamente depresso dalla consolazione "però a calcio vi facciamo il culo"
Cosa ha a che fare con la letteratura? Parecchio credo io. Soprattutto col fatto di difenderla in prima pagina come Il Giornale difenderebbe solo il suo Cavaliere caramellato...
Due riflessioni a riguardo.
Primo: è vero che dal dramma nasce l'arte migliore, ma il dramma sará sempre comunque presente nella vita degli uomini, senza bisogno di andarselo a cercare e sponsorizzarlo. Inoltre probabilmente sono molti piú i Dickens e i Primo Levi morti di freddo e fame rispetto a quelli sopravvissuti agli stenti per raccontarli.
Secondo: Pirandello era un genio, particolarmente sensibile all'analisi delle apparenze che influenzano la vita dell'uomo moderno. Come tutti i geni, abbagliato dai lampi della propria mente, poteva essere profondamente cieco. Per lo meno io ho sempre addebitato a questi sbalzi di luce, a eccessivi restringimenti della pupilla, se non a semplice paviditá, il fatto che un uomo come lui appoggiasse il fascismo, sostenendo che Mussolini dava al popolo le due cose di cui aveva piú bisogno, senso di stabilitá e senso di dinamica. Questo genio della realtá virtuale si perdeva nei propri specchi e parlava di Mussolini come parlasse di Teatro. Ecco il paese di Berlusconi e Grillo (lungi da me paragonare questi due individui opposti, piú che per il fatto che condividono le tecniche dello spettacolo) dove realtà e spettacolo si inzaccherano e si rivoltolano avvinghiate come lottatrici nel fango.
L'Italia per molti motivi, di cui solo l'ultimo é una berlusconizzazione delle coscienze, ma prima viene un unione linguistica non ottenuta tramite Dante e lo Stil novo come ci raccontano a scuola, ma tramite Baudo Carrá, Bongiorno, (e per fortuna anche Battisti Deandré), é vittima, piú che utente consapevole, della realtá virtuale. PEr questo Tv, videogame, social network, reclam, tifo, lotterie, occupano fette crescenti di quell'industria del tempo virtuale di cui la letteratura é (e dovrebbe rimanere) Ape regina. Per motivi che approfondiró nel suddetto saggio, la letteratura é l'unica tra le realtá virtuali che provveda gli anticorpi contro la stessa, che aumenti le difese contro Ogni tipo di realtá virtuale, rafforzando capacitá di analisi, discernimento e critica. L'unica realtá Virtuale che sia profondamente Virtuosa anche per chi la consuma.
Ecco perché la prima pagina del quotidiano di Dresda demarca, molto meglio delle infelici battute sulle fortune elettorali dei Clown Italiani, la differenza tra due modi di essere.

venerdì 8 marzo 2013

Trilogia della città di K.- Agota Kristof OVVERO dell'agghiacciante ticchettio dell'esistenza



Uno tra i libri piú potenti che abbia letto, uno dei piú importanti ai fini di questo blog suicida.
Per ricordarci che leggere puó essere un'esperienza estrema, e oltre a intrattenerci e istruirci ci puó sbattere in un angolo, sbarrare gli occhi con spilli, ficcarci nel cuore l'ineguagliabile agghiacciante ticchettio dell'esistenza umana.  
La Trilogia di Agota Kristof é un libro feroce, ipnotico, furbissimo, uno e trino, un romanzo in tre parti o tre romanzi che ingegnosamente ne fanno uno, che tre volte ci esplode tra le mani, e alla fine di noi rimane un essere tramortito, sporco e che puzza come l'umanitá intera. Ma nello stesso tempo ci rialziamo piú vivi e leggeri... Ed ecco perché parlo di Insostituibile leggerezza del leggere: perché questo, soprattutto, fa il veleno che ingeriamo leggendo, agisce d'antidoto. Ci rende piú forti, ci ferisce senza lasciare né cicatrici né croste di cinismo.
La trilogia rimane nelle viscere a lungo dopo che la si é letta. Difficile non chiedersi, nel tentativo di rinvenire e staccarsene un po', quale sia stata l'esperienza della scrittrice che ha dato vita ad un romanzo tanto perfetto e doloroso. Lei fuggí in Svizzera dall'Ungheria nel 56 mentre i carrarmati russi invadevano fottendosene che per la prima volta nella Storia le televisioni di tutto il mondo registrassero le profonde fratture di dissenso all' interno del mondo sovietico. Eppure qualcosa le fará dire, non avrei dovuto scappare: Due anni di galera in Urss erano probabilmente meglio di cinque anni di fabbrica in Svizzera. La trilogia tratta essenzialmente di questo, del confine tra ció che é e ciò che potrebbe essere.
Agota scrive in francese, lingua acquisita senza mai dominarla. Per questo anche é cosí importante per questo Blog, per la mia subdola propaganda da pusher di emozioni letterarie. Non perché sia un romanzo sorprendente, avvincente ed unico. Non solo. Non solo perché chiarisce quale sia il privilegio massimo del lettore, di passare in mezzo al dolore e uscirne arricchiti. Non solo. Ma soprattutto perché, questo romanzo scritto in una lingua, che fece dichiarare alla scrittrice di essere essenzialmente analfabeta, é una eccellente lezione di scrittura.  
Scrivere é una delle peggiori controindicazioni,...si, ok, eccone un'altra, avevo detto che non ce ne erano e invece siamo giá alla seconda controindicazione per chi contragga il vizio di leggere: il desiderio di scrivere. Non prende tutti, spesso resta dietro le quinte dei desideri sommersi, dei chissá se potrei, ma comunque c'é. Spesso, soprattutto nel nostro paese, la tentazione di scrivere cattura anche molte persone che non hanno mai avuto quella di leggere. In quel caso di solito l'editore esperto, se messo alle strette e atteso sotto casa, ha giá pronta una serie di scappatoie, una delle migliori pare che sia questa: ma lei come scrittore é sprecato, nel nostro paese per gente come lei, col talento incontaminato e nessuna intenzione di comprometterlo in noiosi confronti con la realtà , c'é un posto in politica.
Insomma in quel caso il vizio di scrivere passa in fretta, tanto é solo vana ambizione. Invece nel lettore accanito questa curiositá malsana tende a crescere, il lettore inizia a chiedersi cosa vorrebbe raccontare e come. E siccome ogni libro diventa anche un esempio ricco di sfumature, rimandi e idee, la vita si complica. Leggere aiuta a scrivere, si, ma come scappare di casa aiuta a farsi strada nella vita, non é mai una passeggiata.
Ecco quindi un libro che ogni aspirante scrittore dovrebbe leggere per chiarirsi le idee. Fino alla fine il libro é scarno ed essenziale nelle sue descrizioni, ma la prima parte in particolare, essendo un diario compilato da due bambini, con precisi limiti e regole, dona un metodo ed un esercizio, la cui efficacia e potenzialitá é dimostrata dal libro stesso.
La seconda e la terza parte non sono una semplice prosecuzione cronologica, ma ricreano lo sbigottimento del lettore con punti di vista ancora piú stranianti dei precedenti. Nei fatti ognuno dei tre libri é una trappola, anzi una successione di trappole. Ma le trappole della trama mostrano anche in limpida filigrana le trappole del mestiere di scrivere. E come già in Don Chisciotte, A quattro mani e in Una solitudine troppo rumorosa di nuovo si inscena la pericolosa osmosi tra letteratura e vita reale, uno dei leit motiv di questo blog.
Anche qui si mostra quel rapporto sempre piú sdruccievole tra realtá e realtá virtuale, che é il tema della storia Umana e sta diventando la causa probabile della sua fine. Ma anche la differenza sostanziale tra la natura salvifica della scrittura e quella soffocante di ogni altra realtá virtuale: sebbene in questo libro le si chiami in entrambi i casi Menzogne, la storia traccia un distinguo netto tra le menzogne letterarie e quelle di un giornale, tra quelle che un individuo usa per sopravvivere e quelle che un sistema usa per sottomettere.
Quello che mostra la trilogia della cittá di K é un mondo dove come in Kafka e in Sciascia il sistema senza volto schiaccia le vite umane con l'indifferenza di un piede che calpesti formiche. E anche rapportati tra loro gli individui, le formiche, oppongono un incapacitá di comunicare che rende la vita piú aberrante e malvagia di quanto potrebbe essere. L'amore darebbe un senso a tutto ma spesso l'amore viene schiacciato con il resto. Ma pure si mostra la rivincita, minima, infinitesimale, ma luccicante, liberatoria che ogni formica potrebbe opporre all'universo cieco: Scrivere un libro. Per quelle esistenze che sembrano chiamate solo a testare dolore e sacrificio, scrivere un libro puó essere un risicato riscatto contro la cieca violenza dell'oblio. E soprattutto avere qualcuno a cui scriverlo. Chi scrive i quaderni che compongono quest'opera, lo fa per qualcuno in particolare, ha in mente un suo lettore, sembra confermare una regola che la maggior parte degli scrittori Calvino a Vonnegut, considerano primaria per non disperdere la propria linfa, quella di avere qualcuno a cui scrivere, ma qui acquista una chiave esistenziale prima che letteraria, quella di avere qualcuno da amare.

Citazioni:
Uno di noi fa il cieco, l'altro fa il sordo. Per allenarsi all'inizio ilcieco si lega un fazzoletto nero di nonna davanti agli occhi, il sordo si tappa le orecchie con l'erba. Il fazzoletto puzza come Nonna
Certe vite sono piú tristi del piú triste dei libri.
Ogni uomo é nato per scrivere un libro e nient'altro

mercoledì 6 marzo 2013

A quattro mani - Paco IgnacioTaibo II OVVERO della Muffa e del Mistero


Questo libro 20 anni fa mi risveglió. Il piacere di leggere, persino quello, conosce momenti di sedimentazione, sopravviene un torpore cosí lieve che non lo senti, leggere diventa uno degli elementi della vita e quasi scordi quegli altri momenti in cui é stato il Piacere, in cui é stato il Conoscere, il Viaggio, fluttuando sul mondo e dentro se stessi, la Medicina contro meschinitá, banalitá, impazienza e insomma l'unica Droga che non avesse controindicazioni.
È stato per me il Re dei libri, tanto vale ammetterlo, perchè sarebbe altrimenti molto faticoso recensirlo senza che si indovini, anche solo guardando queste righe, una strana dilatazione delle mie pupille. Poi per fortuna questa monarchia illuminata é tornata ad essere piú varia.
Chi legge molto puó avere qualche problema che trascende l'uso degli occhiali... é giusto ammettere anche le controindicazioni di questa Droga, e in perfetta contraddizione con me stesso ora dichiaro che Ogni vizio invasivo ne ha almeno una: La lettura, intensiva e continuata, tende a sviluppare una patina candida di quella che il lettore adolescente crede già saggezza. Questa "saggezza", soprattutto nella sua fase di formazione, come la muffa, può essere sgradevole. Per sé e per gli altri. Quando é folta é una barba bianca ma all'inizio é verdognola peluria. Puó in definitiva risultare che per bere una birra gli amici chiamino qualcun'altro. Perché tu non ti stupisci mai come vorrebbero, non ti alteri mai come dovresti, non schiumi mai per qualche squadra del cuore. Anche piú tardi, questa aspirazione alla saggezza é come neve o come la lunghissima barba di Merlino, per quanto pura e bella l'istinto é di calpestarla.
Insomma se hai ormai abbandonato i libri di pura avventura, esaurito la sofisticata leggerezza di Agata Christie, e hai la fortuna di non esserti incagliato definitivamente in Hermann Hesse o in Coelho o Kundera, sei riuscito ad abbandonare l'adamantina Yourcenar soltanto rifugiandoti in Borges e da quest'ultimo hai ereditato l'inesauribile ricchezza della letteratura inglese, in cui ti muovi come un Adamo single nel paradiso ritrovato dei Classici, pure c'é qualcosa che inizia a mancarti. Ma non sai dargli un nome. Provi a perderti in Cent'anni di solitudine, che in effetti coi suoi profumati effluvi ti restituisce un po' di calore, ma poi la granparte della letteratura sudamericana ti sembra un continuo omaggio a Marquez. La lussureggiante intelligenza di Nabokov ti ristora ma sei sempre piú scollato dalla vita condivisa. Insomma il tuo slancio si affievolisce in... saggezza. Certo Eva ti dava casini a non finire ma questi casini per quanto strano dovevano essere parte integrante della vita.
Ed ecco arrivare un libro come "A quattro Mani". Mi spettinó dalla prima pagina, dopo poco mi aveva disarcionato. Furono risate, indignazione, commozione. Se leggere sta affievolendo l'intensitá della tua giá non esaltante esistenza, allora stai sbagliando letture. Mi si é risvegliata la passione. 
Ho dichiarato che non amo anticipare niente di ciò che consiglio, e ciò risulta davvero duro con questo libro, perchè il genio dell'invenzione si scatena con troppa dovizia per glissare la tentazione di dimostrarlo. LE avventure dei due giornalisti d'inchiesta, le Tesi di laurea sovversive e quindi rifiutate di Elena Jordan, lo Shit Department, all'interno di questo romanzo c'é il materiale di 5 ottimi romanzi, magistralmente assemblato in uno... Parliamo d'altro.
Paco Ignacio Taibo II . Segundo, Poichè suo padre, aveva lo stesso nome e lo stesso mestiere. Era un ottimo romanziere (pallide bandiere), e probabilmente un padre felice, se essere oscurati dalla fama del figlio non è frustrante come il contrario. PIT II nasce a Gijon in Spagna , il padre decide di trasferirsi in Messico fuggendo il franchismo, quando lui ha quattro anni. Da allora ha esercitato le attività di insegnante di storia contemporanea presso l'università di Città del Messico , sindacalista e attivista politico , storico e romanziere e saggista , con una produzione ormai di una sessantina di libri. Dichiarava che voleva scriverne uno più del padre... Chi lo conosce lo definisce un mistero. Il mistero, al contrario di ciò che accade abitualmente quando si considera misterioso qualcuno, non è nella sua personalità, nel suo pensiero, nella sua vita, tutto molto estroverso limpido, pubblico. Ma anche sí, troppo estroverso, limpido, publico per un tanto acuto e prolifico scrittore , ovvero uno che mentre vive sta giá annotando, scrivendo, cancellando, calibrando aggettivi e sinonimi, tracciando collegamenti, archiviando. Uno che mentre vive, per deformazione professionale, già rivive, normalmente necessita di tempo, silenzio e osservazione, perchè la realtà è l'unica vera fucina della fantasia (chi disse ..."Ma Balzac dove ha incontrato tutte quelle persone?"?).  
L'ho incontrato in almeno 4 conferenze: L'ultima volta a Milano, facoltá di scienze politiche parló agli studenti dell'Onda studentesca, della sala che Leonardo DaVinci dipinse nel castello Sforzesco a un paio di km da lí (ovviamente nessuno ne sapeva niente): per una volta che il committente gli aveva dato carta bianca sul soggetto, Leonardo, anziché riprodurre madonne o battaglie, sceglie di dipingere ...un Bosco! cosa ci stava dicendo Leonardo? Paco Ignacio sembra conoscere la risposta che  né le guide del castello nè i critici  hanno mai saputo dare: "Leonardo ci dice che il cielo é la terra, che il paradiso é questo, proprio come voi studenti state dicendo a Politici che non hanno mai comprato il pane che la politica é in queste aule, é la scuola, siete voi, non il loro intoccabile sistema autoreferenziale".
Ecco Paco, un fiume di cultura, provocazioni e battute. Eppure nel frattempo quel piccoletto diabolico baffone sta anche osservando. Mentre abbindola il pubblico con le sue innumerevoli storie, con le sue sconcertanti risposte, con la sua fluviale fantasia, con la sua cultura spiazzante, pure osserva , il piccoletto. Mentre scrive quattro o cinque libri contemporaneamente, viaggia , fà conferenze, organizza festival del Noir in spagna, fuma sette od otto sigarette messicane (all'ora), e beve un paio di lattine di CocaCola (all'ora), che egli non considera degli stendardi yankee, o "sangue di vietnamita", come vuole la cultura hippie degli anni 70, bensì le bombe a mano che lui e gli altri dimostranti gettavano alla polizia durante lo sciopero della fabbrica di CocaCola anni addietro. Questo dunque il mistero, un uomo che afferma che dallo scrivere si riposa scrivendo. E il motivo per cui entra di diritto in questa carrellata di romanzi é proprio il f atto che é un'autore imporante per chi voglia scrivere. In molti dei suoi romanzi, forse soprattutto nella "bicicletta di Leonardo" e in "La Vida Misma", ma anche in questo, Paco é molto generoso col lettore ma anche con chi voglia scoprire come funziona il misterioso cilindro dello scrittore.
Ecco il mistero e tutto questo lo troviamo nel piú mirabolante di suoi romanzi A Quattro Mani, ottimamente tradotto da Pino Cacucci. Il titolo é puramente pretestuoso, perché avrebbe dovuto scriverlo con un amico ma non se ne fece nulla. Eppure fosse un pianista Paco sembrerebbe suonare con 4 o forse 6 mani. Siamo alle prese con un libro tremendo, di un'intelligenza sovversiva che stringe il cuore, ma divertentissimo, straniante ma iperreale, con una frammentarietà di giochi e tributi e ritmi che fanno in letteratura un po' ciò che i ManoNegra hanno fatto in musica e Tarantino nel cinema. Non sono tutti al livello di questo, forse "La Bicicletta di Leonardo" e "Ritornano le ombre", forse nessuno. LEtti dopo questo alcuni sono semplicemente dei deludenti ottimi romanzi, alcuni sono mattoni di serissima storia ad esempio la più nota biografia di Che Guevara " Senza perdere la tenerezza" . I piú famosi sono gli ottimi noir della serie di Hector Belascoran Shayne, il detective del DF(districto federal come chiamano laggiú Ciudad del Mexico) che ha reso questo scrittore una celebrità tenendo per le ghiandole publico e critica, dandogli fama di "creatore del nuovo noir latinoamericano", portavoce di una letteratura che si contrappone al realismo magico di Marquez, in cui la magia sembra sempre pervadere la realtá. Paco, sottile indagatore del rapporto tra realtá e finzione, tra vita e scrittura ( si veda il suo romanzo "Come La vita "-"La vida misma") mostra un mondo in cui la realtà assomiglia sempre più ad un romanzo senza bisogno di ripassarne con l'evidenziatore i colori, senza trucchi, egli snocciola storie crude, storie urbane della piú folle cittá del pianeta, con la fila di limousine di autisti armati fino ai denti fuori dalle discoteche, storie in cui l'unica magia é la battaglia, l'ironia, la tenacia dei cuori o dove per dirla con Dalla: "ecco il mistero, sotto un cielo di ferro e di gesso, l'uomo riesce ad amare lo stesso, e ama davvero".

martedì 5 marzo 2013

Una solitudine troppo rumorosa - Bohumil Hrabal OVVERO della spremuta di sangue e inchiostro

Forse il libro piú geniale, grondante e poetico di uno scrittore che grondava genio e poesia in ogni sua opera. Un uomo che come Bukowsky fece mille mestieri e bevve migliaia di litri di birra. Come per CharlesBukosky la sua opera compone una specie di All lifelong gallery. Ma a differenza di Bukowsky, Hrabal si lasció travolgere dal vortice della vita, senza sviluppare quell'occhio micidiale e cinico, quel lucido vetro antiproiettile che Chinasky sviluppò per difesa, ma imparando a vorticare nel mutevole struggente caleidoscopio dell'esistenza registrandone l'esperienza con un'efficacia unica, il cui rimando piú immediato a mio avviso sono i film di Kusturica.

Questo libro, come Don Chisciotte parla di un uomo che si è fatto di libri, nel senso più tossico del termine.
Il suo farsi di libri non è peró l'hobby di un hidalgo, ma è il lavoro di un operaio al macero della carta. Comunque sono entrambe, all'epoca delle rispettive ambientazioni, due classi in estinzione. L'operaio in questione poi è in un pericolo immediato e reale, manovratore di una pressa sorpassata, una volta al giorno dal cielo stretto di scantinato gli piovono addosso libri, a centinaia, e stampe e cartoni e gli insulti e le minaccie del suo capo.
Scelgo questo libro proprio perché porta un passo più avanti la riflessione sul rapporto tra narrativa e vita reale giá affrontato con Don Chisciotte. Hrabal sembra indicare, come la seconda parte del DonChisciotte, che anche se molte cose nella vita non possiamo sceglierle, l'immaginazione ci permette di scegliere come guardare alla vita.
Questo libro accorda una sintesi sublime tra contenuti, scrittura, movente e messaggio, esso è cioè un intreccio di autobiografia, realismo brulicante e marcescente (se qualcuno crede di aver mai letto il Pulp assaggi questo...), sogno, visione, e metafora , metafora di una vita e della Vita. Un altro libro preziosissimo, che mostra i fuochi d'artificio delle piccole cose, ma adatto a lettori che non hanno paura di perdersi nelle sabbie mobili della realtá. Esso é infatti scritto con uno stile intriso della stessa sostanza dei sogni, che porta lo stream of consciousness ad un nuovo livello di prensilitá, un allucinazione che talvolta è più reale e circostanziata della realtà, ovvero muovendosi nei sogni non descritti quando si è ormai svegli ma in presa diretta, alla Borroughs ma privo dell'irritante snobismo onirico di borroughs, non ermetico anzi compagnone... uno stato ebbro, dovuto ad una sensibilità acutissima, violentata dalla ricchezza insostenibile dei libri e che usa come liquido di raffredamento e integratore di ottani, scusate la metafora motoristica, la birra, fiumi di birra. Il tutto in una Praga che brucia di magia e amarcord...
Nella Praga che fu di Kafka, che Kafka ha sovraccaricato dell'atmosfera irrisolvibile degli incubi ripetuti, perché rappresentano un quotidiano incombente labirinto, Hrabal, non meno travolto dalla vita, resuscita sogno e immaginazione, allarga in maniera esponenziale la gamma delle emozioni, accoglie i lampi di ironia e ridicolo e di struggente passione, ogni ingrediente che rende la vita un' assurdo teatro, come Kafka pativa, ma pure degna di essere vissuta, urlata, mangiata, bevuta.

sabato 2 marzo 2013

Don Chisciotte - Miguel De Cervantes OVVERO della Realtá Virtuale



Un opera senza fine, considerato il primo romanzo moderno, ma che a tutt'oggi resta un romanzo tra i più moderni.
Un linguaggio ricco ma leggero che si smarca dalla produzione edulcorata ed ampollosa dei suoi tempi. Idee potentissime che si stagliano nel cieo come razzi di segnalazione. Soprattutto, e per questo lo scegliamo tra i primi di questo viaggio letterario, il primo che tratta diffusamente l'abuso della realtá Virtuale, che é ció che distingue l'uomo dal resto del pianeta ed é pure ció che sta con strisciante inconsapevolezza fottendoci alla grande.
Ho già spiegato perché racconto il meno possibile dell'opera ma devo pur spiegare perché essa é tanto importante. Don Chisciotte perde il senno per i troppi romanzi d'amore e d'avventura infarciti dell'ars romantico-cavalleresca che imperversava nella spagna dell'epoca, addirittura si creó il fenomeno dei "lettori impazziti"... Sul giornale di ieri dei bambini sono impazziti per troppi videogiochi identificandosi con personaggi fatti di pixel... Alienazione...
É (giustamente) vietato telefonare per avvertire casa di buttare la pasta se si sta guidando. È altrettanto sconsigliabile per quanto non vietato andare fuori da un liceo in primavera e con cappotto e lingua di fuori guardare le ragazzine seminude, nessuno tocchi i nostri figli! È frequente poi digrignare i denti al lavavetri insistente al semaforo, nessuno tocchi la nostra auto! Ma poi placidi come plancton cinque donne nude grandi come un condominio ci ipnotizzano, vorremmo essere kingkong per testare quel condominio in tutti i suoi orifizi. Si, perché un tale D&G e altri come lui possono cercare di convincenrci della necessitá di comprare un jeans o almeno iscriverci ad un orgia di adolescenti proprio mentre ci districhiamo con l'auto nel bel mezzo del piú trafficato punto della cittá. NESSUNO TOCCHI LA RECLAM! Pubblicità enormi come balene ci masticano lungo le vie delle nostre cittá e se non ci risputano all'ospedale, o a vomitare insulti compilando una constatazione amichevole, ci ritroviamo rintontiti sulle nostre tavole a considerare meschine le rughe di nostra moglie, e quindi innervositi cerchiamo di comunicare con quell'ectoplasma di nostro figlio, ma c'é qualcosa di misteriosamente potente ficcato dentro il suo telefonino che pare aver catturato per sempre il suo senno e non avere alcuna intenzione di restituirlo. Credendoci furiosi proviamo a levargli il telefonino ma é solo allora che conosceremo davvero il significato di "furia", nostro figlio sputa fuoco e ha il colore di un fegato cirrotico, persino nostra moglie ci insulta,...Come ci siamo arrivati?
Il tema dell'apparenza, delle percezioni, non è ovviamente nuovo, Platone col mito della grotta ne dà una metafora esemplare e compiuta, e secondo me il cavallo di Troia é un moderno esempio di pubblicitá. Ma é l'uso che ne fa il potere, qualunque potere, che diventa antropologicamente piú significativo.
Le invenzioni geniali di Cervantes, questo scrittore dalla vita turbolenta, nascono in un epoca cruciale, il XVII secolo, un epoca che aveva molta dimestichezza con gli specchi, gli effetti e i giochi dell'apparenza. Il cattolicesimo controriformista e barocco é agguerittissimo in tal senso, facendo un uso ridondante del culto dell'immagine. Spesso c'è il genio a conferire a questo culto dei riflessi ulteriori: nell'incredibile quadro "las Meninas" Velasquez dipinge accanto alle figlie del Re uno specchio in cui si riflettono le altezze Reali sul lato opposto della stanza, ma dove dovrebbe a rigor di logica riflettersi il pittore stesso. Esso crea chissá quanto consapevolmente la tremenda metafora del Potere che parla con la voce del genio. Bernini allestisce un opera in cui simula il diluvio, allagando quasi il teatro e fermando l'acqua appena in tempo, proprio davanti al pubblico con un pannello di vetro. Caravaggio dipinge gli oggetti riprendendoli in uno specchio per anticiparne il reale senso di straniamento. l'Amleto di Shakespeare inscena uno spettacolo di fronte al re, assassino del padre, dove questi vede la replica del suo stesso crimine, un opera dentro l'opera dentro l'opera.
Fuori dal genio il barocco si limita a ridondanza, cacofonica tautologia del potere, con le sue minuziose escrescenze descrittive che non lasciano niente all'immaginazione, all'intuito, alla voce interiore, proprio come fanno la piú moderna realtá virtuale, la piú chiassosa arte hollywoodiana o la pornografia. In tanta produzione di immagini il cattolicesimo barocco sta bene attento a non lasciarsi scappare fotogrammi di veritá, opponendo la santa inquisizione al cannocchiale di Galileo. non erano tempi facili ma naturalmente il peggio doveva ancora mostrarsi: i totalitarismi hanno fatto dell'uso della realtá virtuale quasi una scienza esatta, comunque invasata, chiamata propaganda. Quelli mascherati da democrazia ne hanno fatto un gas piacevole e mefitico, chiamato con leggerezza (insostenibile) RECLAM... Un noto Richelieu de no'artri li chiama sobriamente consigli per gli acquisti... bleah, torniamo al genio.
Quello che Cervantes denuncia é un sistema di valori e convenzioni finito o mai davvero esistito, declamato, inseguito ma irreale e in definitiva inutile, un sistema di corti e cortesie, tornei, amori e grandi gesta in un mondo dove imperversava crudeltá, abuso ed ignoranza, dove il peggior drago era la meschinitá della vita stessa. Miguel conosceva molto bene le crudeltá del suo tempo, conobbe la guerra partecipando niente meno che alla battaglia di Lepanto, conobbe la galera, come quasi ogni genio conobbe l'incomprensione e la solitudine, non ebbe mai il meritato successo, morí in povertá e insomma come ogni grande umorista conobbe il fiele amaro dell'esistenza. Le sue invenzioni sono superbe, eterne, massimamente quella, all'inizio del secondo romanzo, dove troviamo i due eroi a leggere le loro stesse avventure e convincersi a continuare, per fedeltà al sogno, a vivere avventure...cosí l'ambivalenza giá presente nella prima parte in cui due opposti, Don Chisciotte e Sancho Panza, restano inestricabilmente uniti nella stessa avventura, continua e si replica. E come in specchi opposti si duplica anche il senso di straniamento creato nella prima parte dalla follia dell'eroe, mostrando come questa follia sia in filigrana pervasa di consapevolezza, come un dormiveglia, una follia per scelta, come quella di Amleto. LA follia di preferire una realtá incantata a quella misera dei poveri di spirito. Se da una parte denunciava la cattiva letteratura infarcita di valori di corte, difendeva infine il sublime diritto all'incanto della buona letteratura, quell'incanto senza il quale avrebbe detto Stevenson, non c'é piú nulla che valga la pena.
Si chiama classica un opera la cui voce non sdilinque nel tempo, anche se il suo messaggio acquista nuovi risvolti col mutare delle epoche. Il messaggio prezioso di Cervantes si é arricchito nei secoli di una nuova lezione,  mostrandoci una differenza fondamentale tra la scrittura, madre di ogni realtá virtuale ed ognuna delle sue seguenti proliferazioni, ne parliamo diffusamente ne "l'insostituibile leggerezza del leggere", laddove la scrittura sviluppa l'immaginazione mentre le altre forme tendono a dissanguarla. Infarciscono di immagini la mente, si, ma uccidono la capacitá di creare ed elaborare nuove immagini, quindi la capacitá di modellare il futuro, lasciandoci passivamente a subirlo, subdolamente simile al passato. Infatti i bambini sono sempre piú affeti da ebetismo (o dovremmo dire buffering?) o da violenza e depressioni, allergie, ancor peggio gli adulti hanno perso la capicitá di interagire con le loro energie naturali e prescrivono psicofarmaci come prima elargivano sculaccioni... mentre il nostro macilento eroe sul suo scarno destriero brucia di un fuoco interiore, un coraggio insonne che lo staglia nitido e invincibile contro il passare dei secoli.
La lettura é omeopatia contro un esistenza che va rarefacendosi, é l'antidoto contro un esistenza sempre piú ologrammatica, insegna a discernere la realtá dallo specchio