lunedì 15 aprile 2013

Flannery O'Connor: Il cielo é dei violenti - o dell'eresia del Talento

Flannery, bimba di 5 anni, conobbe l'onore delle cronache grazie al suo pollo addestrato. Questi oltre a seguirla dappertutto sapeva camminare in avanti e all'indietro. Era il 1930 e il filmato della bimba e del pollo fece il giro dell'America grazie alle Pathé News. (Nonostante l'argomento il nome non ha niente a che vedere col paté ma deriva dal suo fondatore Charles Pathè inventore del cinegiornale, sebbene questi avesse adottato come simbolo societario proprio il Gallo che rappresenta la Francia,... cerchi nell'acqua). Anni dopo quella bambina rivelerà, "sebbene fossi lì solo per assistere il mio pollo quello fu il punto culminante della mia vita, il resto é stato tutto un anticlimax." Curioso punto di vista, si vedrà. Da allora comunque ella allevò ogni razza di uccelli riuscisse a procurarsi, oche, quaglie, fagiani, galli cedroni, anatre e tacchini. Creava persino abiti per polli. Finì per appassionarsi ai pavoni, che descrisse in un saggio intitolato the King of Birds. Precedentemente aveva messo come copertina del suo libro Believe it or not la foto di un pollo che sopravvisse 30 giorni senza testa. Questo non é un blog di ornitologia eppure quel suo straniante punto di vista è poprio il motivo per cui trattiamo la storia di questa donna.
Flannery O'Connor nacque a Savannah, in Georgia, U.S.A, in quell'area fortemente religiosa chiamata Bible Belt, in quella vasta ruralità che é sempre stata fertile terreno per predicatori, sette, bigottismo, Ku Klux Klan.
Flannery pure era fortemente cattolica, per tutta la vita promosse il cattolicesimo e armata di penna e lingua si dimostrò un'agguerita e sottile combattente a difesa del mistero della fede.  
Flannery seppe fondere Ortodossia e Provocazione, più di chiunque altro, forse più dello stesso Chesterton che a difesa della fede cattolica inventó il personaggio di Padre Brown e scrisse il geniale saggio Ortodoxy e riempì di brillanti provocazioni tutta la sua vasta opera letteraria.
Borges definisce Chesterton un eretico, per l'intelligenza eccessiva con cui difende la concezione cattolica, analogamente anche Flannery possiamo definirla eretica: ad una cena newyorchese di intellettuali che le chiedevano di esprimersi sull'eucarestia, ovvero la distribuzione dell'ostia, lei bestemmió. Non so se disse DioPiccione o che cosa, ma nulla le era sembrato più appropriato di fronte a chi difendeva il più profondo dei misteri della fede attraverso la sua ripetizione simbolica e cerimoniale. La bestemmia le sembrava un peccato microscopico, forse uno stridere necessario, rispetto all'ottusa speculazione e alla miope concezione di un premio: come Chesterton, Flannery non sopportava la razionalizzazione del mistero. Simile a Chesterton ma ancor più al maestro di stile e di suspance, oltre che agente segreto, Graham Greene, che lei infatti ammirava, Flannery lottava per dimostrare proprio attraverso la brutalità del reale come l'uomo non possa davvero vivere senza la fede, come di fede sia intrisa l'esistenza tutta, come essa non sia certo una scelta. Amava dimostrare nei suoi racconti che persino l'agnostico più ostico sta scontando un percorso inevitabile verso dio, in questo senso va compreso il titolo del suo libro: Everithing that rises must converge, ció che sorge deve convergere, come dire, la vita, per quanto si spanda torna sempre a dio.
L'ateo o l'agnostico possono trovare molto seducente questa piena e disarmante difesa della fede in sè, che piuttosto spaventa molti credenti, cosí spesso affetti da demenza catechistica.
Ma questo non é un Blog religioso, anzi, essendo un invito alle buone letture, si pone come avversario naturale di due elementi fondamentali dell'esistenza umana: la realtà virtuale elettronica e gli automatismi della fede religiosa. Entrambe invenzioni per pigri. I libri sacri vorrebbero essere il compendio di tutto ciò che é importante sapere, implicando l'inutilitá sostanziale di leggere altro. Nella maggior parte dei casi non é neppure necessario leggerli, perché ci vengono recitati in pubbliche letture, rese coinvolgenti da tecniche di indottrinamento ed intrattenimento, con momenti di karaoke e di mortificazione.
Non é nella sua veste di colomba cristiana che vogliamo catturare Flannery O'Connor. Questa donna preveniente dall'America del KKK, che allevò uccelli tutta la sua breve vita e che riconobbe l'apparizione nel cinegiornale Pathé accanto ad un pollo all'età di 5 anni come il clou della sua esistenza, é a tutt'oggi uno dei maggiori scrittori americani. Kurt Vonnegut, un genio letterario di cui ci dovremo occupare, ateo e umanista, a margine delle sue lezioni di scrittura creativa definì la cattolicissima Flannery O'Connor come il migliore scrittore di racconti che lui conoscesse. Curiosamente essa ammirava massimamente il cattolico Graham Greene, il quale a sua volta indicó l'ateo umanista Vonnegut, ancora semisconosciuto all'uscita del suo secondo romanzo, come il migliore scrittore vivente. Altri cerchi nell'acqua.
Flannery scrisse solo due romanzi non particolarmente corposi, ma intensi come lo erano i suoi racconti. Proprio per la loro carica fideistica del tutto originale non ebbero vita facile tra gli editori. Sebbene non sia stata quello che si può chiamare uno scrittore incompreso, gli editori le chiedevano modifiche che lei non accettava mai. Non era orgoglio ed anzi ogni sua opera passava al vaglio delle sue amicizie, ma non accettava consigli commerciali o comunque non concernenti l'efficacia del romanzo. Cercava di avvicinarsi a sè stessa, non certo al pubblico, o come dicono gli editori, "ad un certo pubblico", allo stesso modo in cui difendeva la fede, non certo i sacerdoti o i fedeli. Insomma restava fedele all'ottimo assunto di Wilde: Un’opera d’arte deriva la sua bellezza dal fatto che l’autore è ciò che è, e non ha niente di comune con il fatto che altri vogliano ciò di cui han bisogno.
L'atteggiamento che aveva nei confronti della fede era lo stesso con cui affrontava la letteratura, per questo la comprendiamo volentieri in questo blog, ovvero tra gli scrittori che hanno usato la letteratura come strumento di vita e viceversa.
Flannery sembra dirci che non possiamo creare un buon romanzo né onorare degnamente Dio nascondendo la veritá brutale dell'esistenza. La letteratura e la fede (quella vera, che normalmente sta lontana dai luoghi di culto)non sono fughe, realtá alternative, sogni, terre promesse. La Fede come la letteratura sono elevazioni, ci mettono a 5 metri da terra a osservare la vita, tutto, il leone che sbrana l'agnello o l'assassino che si crede un profeta. Lo sforzo della veritá, o citando Marguerite Yourcenar: lo sforzo di tenere gli occhi aperti, questo fa della Fede e della Letteratura, una forma di vita piú intensa e vera della vita stessa.
Il cielo é dei violenti ci mostra forse meglio di ogni altra sua opera la distanza tra l'annaspante logica umana e il disegno prestabilito. Un ragazzino che diventa oggetto di opposti fanatismi il quale a sua volta svlupperá un fanatismo tutto suo. Un romanzo intriso di esseri che fanno la volontá del loro personale Dio, di esso confidenti e da esso continuamente derisi e abbandonati. Proprio come nei racconti di Sherwood Anderson Dio sferza la miope stupiditá umana che vorrebbe dirigerne o interpretarne la volontá, anche un po' come la scrittrice sferzava quella degli editori che cercavano di dirigerne tono o trama per renderla più digeribile. Come suggerisce la critica Marisa Caramella, il mistero della Fede sovrasta il comprendonio breve degli individui come il mistero del Talento di Flannery sovrastava le brevi mire degli editori alle prese con un prodotto cosí inedito.
"Credo che uno scrittore serio descriva l'azione solo per svelare un mistero. Naturalmente puó darsi che lo riveli a se stesso oltre che al suo pubblico. E può anche darsi che non riesca nemmeno a rivelarlo a sé stesso, ma credo che non possa fare a meno di sentirne la presenza." Flannery O'Connor


lunedì 8 aprile 2013

Erri De Luca. O la Credibilitá del Magico.



Erri De Luca é probabilmente il piú intenso e accuminato scrittore Italiano vivente, di sicuro il piú importante (e infatti il primo) in questo blog funambulo, perché anche De Luca, (pur se diverse miglia più in alto del blog e con la grazia ipnotica di uno scoiattolo), corre in tutta la sua opera sulla corda che vibra tra letteratura e vita reale. E la fa suonare di quella nota magica che chiamo Grande Letteratura.
Vorrei dire che é uno che non sbaglia un colpo, neppure una frase, se il leggerlo non aumentasse la mia idiosincrasia per certi slogan. 
Enrico detto Erri ha iniziato tardi. Paolo Conte, uno che per certe sfumature gli assomiglia, si é detto contento di aver raggiunto il successo non giovanissimo, lasciando intendere che spesso bruciare le tappe brucia anche le scarpe. Erri, come molti che iniziano tardi, non ha ancora smesso di affilare la sua lama: la sua opera é ancora un crescendo, pur partendo da una scrittura decisamente matura. Non é la paglia di ormoni e orgoglio a bruciare nelle sua fúcina, ma braci a lungo covate, di sforzi, dolori, assenze, compressioni, sconfitte, tutte le sottrazioni e le calibrature della vita. Non ha supplito con menzogne, effetti speciali o altri accumuli, respinge ogni superfluo, ha vissuto il mestiere di vivere, lasciando che il tempo levigasse ció che doveva. Quel che rimane é una perla di levigatissima iridescente prosa.
Si dice spesso di non cercare di conoscere gli artisti che ami o potresti rimanerne deluso. A me suona un po'come: non cercare di conoscere tua moglie o ne rimarrai deluso. Gli artisti che amo mi accompagnano per una vita. Non sono d'accordo, mai, sul fatto che tra imparare e ignorare sia preferibile quest'ultimo, per quanto imparare possa disilludere. Si impara magari ad essere piú esigenti, o piú tolleranti, in amore. Forse si impara anche a giudicare la credibilitá di una frase oltre alla sua bellezza. E si impara che la credibilitá é una forma di bellezza non secondaria, piú rara di quella estetica, una bellezza guerriera. Con scrittori come Twain, Yourcenar o Wilde, senz'altro con Erri De Luca, si impara che la bellezza della credibilitá informa di sé quella estetica dandole un vigore altrimenti impossibile.
Con De Luca si impara anche di più: ha fatto mille mestieri, continuando anche parecchi anni dopo aver iniziato a pubblicare, ha conosciuto la scabra superficie della vita lavorando da operaio e guardando in faccia l'iniquitá come attivista e redattore di Lotta Operaia. Per questo non se la sente di parlare della fatica di scrivere, per lui scrivere non é un lavoro, piuttosto un compenso dalle ore di fatica, non proprio un relax, ma uno sfogo, una valvola che fischia la compressione di stanchezza, alienazione e solitudine, un fischio modulato con la sapienza di chi conosce l'amore del mestiere ben fatto, con la grazia di chi é grato di ogni pasto e di ogni privilegio, di ogni albero che gli dà riparo, di chi crede, religiosamente e fortissimamente crede, che non importa in chi si creda, chi si ringrazi, non conta Chi si preghi, ma conta la forza della preghiera e infatti egli stilla frasi brevi di forza sorprendente, "lunghe quanto il respiro che ci vuole per dirle". Quello che impariamo dalla lettura di ErriDeluca, é l'anima di questo blog: la letteratura, quella migliore, non é ripetizione della vita né tantomeno fuga dalla vita. È distillato purissimo di Vita. E della vita riscatta la deformitá oscena, mostrandocene la magia. Non finisce quí, il cerchio magico si chiude: attraverso la letteratura, il lettore riesce a rintracciare questa magia sempre meglio, aumenta le diottrie necessarie a cogliere il magico.
La domanda spontanea é quale differenza ci sia dalle altre arti. Il concetto sembra piú o meno valido anche per fotografia, danza, pittura, cinema, in qualche modo musica. Ma queste arti possono sempre affidarsi ad un numero limitato di suggestioni. Certo che i Covoni di Monet ci aiutano a godere di piú della luce meravigliosa di questo pianeta, ma appunto isolano una suggestione anziché sinestetizzarne 100, mille o piú. Inoltre ogni arte apparecchia giá il piatto quasi finito, mentre il piatto della letteratura, piú di qualsiasi altra arte, si completa nel palato del lettore. Il lettore é il performer piú sofisticato, rispetto a qualsiasi altro genere di utente, sia esso di un film, di un quadro, di una canzone. Questa sofisticazione gli dá strumenti fondamentali per vivere. 
In gran parte della sua opera ErriDeluca parla del lettore che lui é dalla prima infanzia. 
Il primo romanzo di questo nemico del superfluo, non a caso si intitola con due negazioni, "Non ora, Non qui", storia di un infanzia a Napoli, per il tono cupo e serrato, ma rivelatorio, é davvero simile all'Alexis della Yourcenar giá incontrato in questo blog, simile in tono e impostazione, anch'esso confessione di una lotta vana, quella dell'esprimersi, dell'essere piú forti di sè stesso. Per entrambi gli scrittori il linguaggio é una scultura curatissima. Per entrambi é pelle della vita, anzi corteccia, entrambi prediligono protagonisti che parlano in prima persona. Ma in Erri DeLuca, sin dall'esordio compaiono rispetto alla Yourcenar tracce di magia e ironia, quella forza napoletana cosí sottile ma acuta, che riesce a ribaltare in un istante tutta la secolare tragicitá che avvolge la cittá, che per quanto urli e si strazi non assorda mai il cuore ma ricorda sempre come una canzone. E infatti la sua opera prosegue piú sulla corda di quella magia che sulla calibratissima esattezza della scrittrice belga.
In Tre Cavalli il protagonista é un giardiniere e lettore, praticamente la quintessenza dell' umile meditativa tranquillitá, eppure é anche un uomo che ha un passato di passioni, violenza, perdite, fuga e fantasmi. Ora inaspettatamente si trova ficcato in un presente di nuovo rischioso, la vita di nuovo lo reclama, se lo viene a cercare, non ha finito di svolgere le vertiginose conseguenze del suo karma di guerriero.
In questo testo il linguaggio, appunto quello del protagonista, è un linguaggio antico, strano o forse inedito, personalissimo e quindi nuovissimo. Essenziale e duro come ferro battuto eppure espressivo e modellato con sapienza. Non vediamo descritto il volto della voce narrante eppure in quel linguaggio noi possiamo contare le rughe e ricevere la luce gentile dei suoi occhi.
Il Peso della Farfalla è un brevissimo intenso capolavoro, storia di un bracconiere ed un camoscio, ironicamente entrambi chiamati re dei camosci. In questo testo la pressione che rende fragili e fallibili, sovraccaricandoli di umanitá, tutti gli "eroi" di De Luca, si acuisce dal confronto schiacciante con la natura, con la bestia che ha dalla sua la grazia.
Ne I Pesci non chiudono gli occhi torna all'infanzia, l'estate dei dieci anni, quell'etá accuminata in cui un bambino, anche uno che ha giá imparato gli adulti dai libri, impara a conoscere la fonte di tante storture dell'etá adulta attraverso i suoi coetanei. E impara anche quelle cose che i libri possono raccontare all'infinito senza che si possa mai conoscerle finché non bruciano la pelle, come il primo amore. Il titolo ci dà conto di un atteggiamento che é quello del bambino ma anche dello scrittore, di chi non chiude mai gli occhi, neanche per baciare. Per suggestione possiamo rintracciarvi l'ennesima affinitá con la Yourcenar, il cui motto, nonché titolo di una prezioso libro intervista, é Ad Occhi Aperti. 
Il torto del soldato, un po' come nelle piú sfolgoranti opere di Vonnegut, inizia con una lunga introduzione dello scrittore che poi diventa parte integrante del libro, dando ancora di piú quella sensazione di confine caduto tra lo scritto e il vissuto.
Ci vien da dire di ogni protagonista di DeLuca che sia quasi un eroe, in senso umano e non solo letterario, levigato dall' esistenza e che quindi acquista quella grazia che, nonostante l'arte, la natura dispensa molto piú ad alberi o camosci che agli uomini. Vien da dire: ecco uno di quegli uomini di una volta, eppure é probabile che anche una volta si chiamassero cosí, come se quella volta non sia ficcata tra le pieghe del tempo ma nascosta tra quelle senza tempo dell'umanitá, come la perla nell'ostrica.
Erri mi ricorda, non solo per assonanza col suo nome, una poesiola che fa cosí.
riusciranno i nostri errori
a sortire un buon ascolto
o saranno ancora eroi
e i loro sarti e i loro sponsor
i conti all'estero e le plastiche
e il folto riflessante nulla,
di sorrisi senza volto
tonnare attonite di fiche
luccicanti sul velluto
e cinodromi di ormoni
ed altri orrori il nostro culto?

Sembra che anche gli eroi, quelli che dovremmo riconoscere come tali, non quelli da tabloid, come le perle siano errori, infiltrazioni, corpi estranei avvolti di purezza chiusi nella realtá scagliosa, deforme e pulp dell'ostrica. E cosí é la letteratura, quella di DeLuca e poi tutta quanta quella buona, come la perla, appartiene intimamente all'ostrica, ma ne é l'anima imprevista che avanza, un' impurita che per difesa acquista forma pura, compatta, cangiante, che magicamente contiene e riflette l'impuritá di tutta la vita che la imprigiona.